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 2018  aprile 22 Domenica calendario

Come facciamo a ricordare quello che ricordiamo


Si può viaggiare nel tempo? Certo, lo facciamo tutti i giorni, dal presente verso il futuro, e ci lasciamo dietro una scia di memoria, diversa per ciascuno di noi. Ricordi che fissano dove siamo stati e cosa è successo, che vanno a costituire la cosiddetta memoria episodica. Senza rendercene conto, posizioniamo i ricordi in un preciso momento e in un luogo specifico. E dato che i pensieri sono fatti non solo di parole ma anche di immagini, molti di questi ricordi sono nitidi per quanto riguarda il luogo, mentre la traccia temporale tende più facilmente a confondersi e a sovrapporsi con quella di altri ricordi. Questa straordinaria capacità di ricordare luoghi ed eventi è sostenuta da una complessa rete neuronale che ha sede soprattutto in due specifiche aree del cervello, l’ippocampo e la corteccia entorinale, come hanno dimostrato le ricerche di May-Britt Moser ed Edvard Moser, che per i loro studi hanno ricevuto il premio Nobel per la Medicina nel 2014. Ricerche che hanno svelato l’esistenza di un articolato sistema di mappe cerebrali che ci consentono di avere sempre un’idea di dove ci troviamo e in che momento della nostra vita.
«Oltre a ricevere informazioni sulla nostra posizione, la distanza e la direzione, provenienti dalla corteccia entorinale mediale, l’ippocampo registra che cosa è collocato in un posto specifico, come un’automobile o un’asta portabandiera» dice May-Britt Moser, che dirige il Department of the Centre for Neural Computation della Norwegian University of Science and Technology, e che parlerà al Festival della Scienza Medica che si terrà a Bologna dal 3 al 6 maggio. «Ma registra anche gli eventi che accadono in quel posto, creando una mappa che contiene non solo informazioni sui luoghi, ma anche dettagli sulle esperienze che lì sono state fatte».
I ricordi sono quindi dislocati man mano nel tempo che scorre e viene registrato, come un nastro senza (quasi) fine, sul quale però sono dislocati anche i luoghi.
«L’accoppiamento dei luoghi con gli eventi ricorda una strategia di memorizzazione utilizzata dagli antichi Greci e Romani» dice ancora May-Britt Moser. «È il cosiddetto sistema dei loci, che consente di memorizzare una lista di oggetti immaginando di disporre ciascuno di essi su una specifica posizione in una sequenza all’interno di un luogo, un percorso, un ambiente conosciuto. È una disposizione spesso chiamata palazzo della memoria. Sistema ancora oggi utilizzato da chi partecipa a gare di memoria e deve ricordare lunghe liste di numeri, lettere o carte».
Ma l’ippocampo riceve dalla corteccia entorinale, in particolare dalla sua parte laterale, messaggi riguardanti anche gli odori, ed è per questo che spesso eventi, luoghi e odori sono insieme all’interno di specifici ricordi.
«È come se la corteccia entorinale allenasse l’ippocampo a mettere insieme odori e sapori con i ricordi di cosa è successo e dove è successo, un fenomeno descritto da Marcel Proust in “Alla ricerca del tempo perduto”, con il racconto della famosa madeleine» dice ancora May-Britt Moser.
Purtroppo la corteccia entorinale è tra le prime aree cerebrali che vacillano quando comincia a manifestarsi la malattia di Alzheimer. Man mano che muoiono le cellule di questa rete, comprese quelle dell’ippocampo, si perdono la capacità di orientarsi nello spazio e di fissare e ricordare nuove memorie. E oggi si sta scoprendo che chi ha una predisposizione genetica verso l’Alzheimer comincia a manifestare disfunzioni precoci nell’orientamento spazio temporale che riflettono la perdita di queste cellule, tanto che potrebbero essere usate per nuovi test diagnostici.