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 2018  aprile 21 Sabato calendario

Ma l’obiettivo saudita e la «variabile Iran» giocheranno sul rialzo

Nella sua consolidata “diplomazia a colpi di tweet” questa volta il presidente americano Donald Trump ha attaccato l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). Rea, ai suoi occhi, di aver fatto salire in modo artificiale le quotazioni del greggio in un periodo in cui – secondo Trump – ci sarebbero «quantità record di petrolio ovunque».
Accusare l’Opec equivale a puntare il dito contro l’Arabia Saudita, che del Cartello è il peso massimo ed il direttore d’orchestra. Le sue critiche non saranno certo giunte gradite ai sauditi. Eppure è proprio con la monarchia di Riad che il presidente americano ha forgiato, nel giugno del 2017, un’alleanza strategica fatta di contratti di forniture di armi per oltre 100 miliardi di dollari, e politicamente finalizzata ad isolare l’Iran, nemico storico dell’Arabia Saudita.
Certo i sauditi non hanno mai nascosto di puntare ad un prezzo del petrolio a 80, anche a 100 dollari al barile. Un livello che permetterebbe loro di portare avanti con maggior serenità il costoso piano di riforme economiche voluto dal principe reggente Mohammed Bin Salman. E che accrescerebbe il valore della compagnia energetica Saudi Aramco in vista di una possibile Ipo (limitata al 5%) il prossimo anno. Nel vertice Opec del dicembre 2016, proprio Riad aveva orchestrato i tagli produttivi – ancora in vigore – che hanno contribuito alle attuali quotazioni.
Ma al di là di una serie di contingenze sul palcoscenico geopolitico mondiale, se i prezzi si trovano ai massimi da tre anni e mezzo la responsabilità non è solo dell’Opec, ma anche di Trump. I mercati dei futures sul greggio si trovano su posizioni particolarmente lunghe soprattutto perchè speculatori, fondi e investitori istituzionali attendono con ansia il 12 di maggio. Questa data è il termine ultimo imposto da Trump per decidere se certificare o meno l’adesione da parte di Teheran all’accordo sul nucleare firmato nell’estate del 2015. A parole Trump è deciso a stralciarlo, a meno che gli alleati europei non adottino clausole più sfavorevoli all’Iran. Cosa che Teheran non accetterebbe.
Se gli Stati Uniti dovessero uscire dall’intesa scatterebbero subito le sanzioni americane, incluse, probabilmente, anche quelle contro le esportazioni iraniane di greggio. Il che avrebbe un impatto deciso – si parla di una perdita di quasi 1 milione di barili al giorno(mbg) – sul bilancio mondiale tra domanda e offerta, già in precario equilibrio. In secondo luogo le crisi economiche e politiche in importanti Paesi produttori – dalla Libia, passando per la Nigeria, fino al Venezuela – hanno sottratto quasi 1 milione di barili al giorno ai mercati. Cosa che ha fatto comodo ai sauditi, ma di cui i sauditi non hanno responsabilità.
Senza contare che nel 1°trimestre del 2018, secondo Goldman Sachs, la domanda mondiale è stimata in crescita di 2,5 mbg, il maggior incremento dal 2010. In teoria le compagnie americane che producono shale oil – tecnica non convenzionale che necessita di prezzi del greggio più alti – potrebbero beneficiare del petrolio a 70-80 dollari. Ma questa è solo una faccia della medaglia. Trump non può evitare il confronto con i suoi elettori su un tema sensibile: il rincaro dei prezzi della benzina. I già alti valori attuali non fanno certo piacere a quell’esercito di americani che compiono decine di chilometri al giorno in auto per recarsi al a lavoro. Trump cercava un capro espiratorio. E sembra averlo trovato nell’Opec. L’Organizzazione dei Paesi esportatori di greggio si sta peraltro rafforzando. La sua cooperazione con alcuni dei maggiori produttori esterni al Cartello potrebbe non essere gradita. Soprattutto le strette relazioni energetiche tra l’Arabia, alleato strategico, e la Russia, i cui rapporti con gli Usa si sono seriamente deteriorati.
Dietro al tweet di Trump si potrebbe perfino ipotizzare un tentativo di riportare i prezzi a livelli più bassi per prepararsi a un’eventuale impennata una volta che scatterebbero sanzioni contro l’Iran. Ed evitare che il barile si involi verso i 100 dollari.
Sono tutte congetture. Alla fine il presidente americano non ha molte frecce al suo arco. I mercati guardano ai fondamentali e alle tante tensioni geopolitiche in giro per il mondo. Uno scenario certo non ribassista.