Libero, 21 aprile 2018
Minacce ogni 16 ore. La dura vita dei sindaci
Pochi giorni fa al sindaco di Castano Primo, in provincia di Milano, hanno lasciato un biglietto con scritto «assassino»: era avvolto sopra un finocchio, lui l’ha trovato nel giardino di casa. A Bari una “assessora” è sbiancata quando ha aperto la sua pagina Facebook: «Prendetela, portatela in piazza e appendetela per il collo», le ha scritto uno sconosciuto. Un consigliere comunale di Belluno ha rimediato, ieri, pure un paio di coltellate mentre era al bar a prendere un caffè. E ancora: proiettili inviati per posta, lettere minatorie, ingiurie, macchine bruciate e persino aggressioni fisiche. Quello degli amministratori locali è un lavoro da far west. Lo mette nero su bianco l’associazione Avviso Pubblico, che nel rapporto “Amministratori sotto tiro” fotografa una situazione a dir poco preoccupante: nel 2017 ci sono stati 537 atti intimidatori accertati, praticamente uno ogni sedici ore. Negli ultimi sei anni il numero delle denunce è aumentato del 153%.
Presidenti di provincia, impiegati a vario titolo, eletti e semplici candidati: non si salva nessuno. Il fenomeno è talmente vasto che, per la prima volta, coinvolge tutte e venti le regioni, anche se il primato non certo una medaglia di cui andar fieri tocca al Sud Italia. Meridione e Isole contano, infatti, il 69% delle minacce rivolte alla Pa, ed è la Campania la zona più colpita, con 86 casi registrati e un rialzo, dal dicembre 2016, del 34%. Seguono la Sicilia (79 episodi), la Calabria e la Puglia (70 a testa), e la Sardegna (48). Al Centro Nord “vince” (si fa per dire) la Lombardia, che per quattro querele in più supera il Lazio (a Roma e dintorni se ne totalizzano 24). A livello provinciale, invece, fanno da capolista i territori di Napoli, Avellino, Reggio Calabria e Siracusa.
FASCIA TRICOLORE
Così, sfogliando le 140 pagine del dossier, si incappa in una miriade di storie agghiaccianti. Un geometra del catasto di Busto Garofalo, alle porte di Milano, si è visto puntare una pistola in faccia da un cittadino che si lamentava di una sanatoria edilizia. Davanti al Municipio di Albenga (Savona) qualcuno ha posizionato una bottiglietta con dell’acido e ha tenuto a precisare che era in programma «un’estate rovente», manco fossimo ancora negli anni di piombo. La fascia tricolore di Casoria, nel Partenopeo, è stata aggredita con un coltello e solo l’intervento dei Carabinieri ha scongiurato il peggio. Però non c’è solo la criminalità organizzata dietro questi atti di violenza da strada e maleducazione fuori controllo. No, ci sono anche le persone normali. Cittadini qualunque, talvolta esasperati, talvolta imbufaliti senza ragione, talvolta solo mossi da impulsi brutali. In tutti i casi difficilmente giustificabili. Un’intimidazione su quattro non ha nulla a che vedere con i metodi mafiosi e camorristici. O meglio, i metodi sembrerebbero essere anche gli stessi, ma la “matrice” del reato è altra.
DISAGIO SOCIALE
Delle 146 aggressioni “comuni” di cui si ha notizia l’anno passato «un terzo trae origine dal malcontento suscitato da una decisione amministrativa sgradita», scrivono gli analisti di Avviso Pubblico, «un altro 23% è riferibile a un vero e proprio disagio sociale (vedi alla voce: richiesta di sussidio economico o di un posto di lavoro) e l’11% di riferisce invece alla violenza politica». La berlina (più o meno figurata) adesso è issata nella “piazza virtuale”, complice quella rivoluzione digitale che per certi versi arranca e per altri è fin troppo avanzata.
Naturalmente, quasi una minaccia su dieci passa dai social network (il 9% del totale) e in rete, si sa, i toni si scaldano in fretta: che a fare i “leoni da tastiera” son bravi tutti, a protestare civilmente quasi nessuno. Nei meandri del www si riversano malcontenti, frustrazioni, insoddisfazioni. Col risultato che nel mirino dei “webeti” (cit. Enrico Mentana) entrano amministratori e funzionari alla bisogna. Su tutti i sindaci, facile bersaglio e perché no anche semplice capro espiatorio del momento. “La convinzione che on-line si possa dire ciò che si vuole, che viga una sorta di impunità nella diffusione di parole permeate di odio o di false notizie, sta presumibilmente alla base di questi comportamenti”, chiosa il documento.