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 2018  aprile 21 Sabato calendario

Antifascismo l’ultima battaglia sul 25 aprile

Che succede nella rete dei sessantaquattro istituti di storia della Resistenza, una delle ultime agenzie culturali della sinistra sopravvissuta agli smottamenti di questi anni? Domanda pertinente in un paese che si appresta a celebrare un inedito 25 aprile, con una maggioranza di italiani che ha votato per un movimento dichiaratamente afascista (Cinque Stelle) o per una destra nazionalista fascioleghista (il partito di Salvini) o per una destra che dal fascismo orgogliosamente proviene (Fratelli d’Italia). Alla Casa della Memoria, il bell’edificio milanese all’ombra del Bosco Verticale che ospita l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (a cui fa capo la rete degli istituti), è in scadenza la carica del presidente Valerio Onida, e sono cominciate le grandi manovre per la successione. Con due principali candidature, ed è già questa una novità nella settantennale storia dell’istituto che non ha mai assistito a duelli per il vertice: Alberto De Bernardi, attuale vicepresidente, e Paolo Pezzino, membro del comitato scientifico.


Dalla futura presidenza dipende anche la conferma dell’attuale direttore Marcello Flores, che s’è mosso in sintonia con De Bernardi. Perché l’interesse intorno a questa competizione? Perché in gioco sono visioni storico-politiche diverse, che le opposte fazioni tendono a caricaturizzare: da una parte il fronte “revisionista”, incline a strizzare l’occhio all’opinione anti antifascista e responsabile del discusso museo del fascismo a Predappio (De Bernardi – Flores), dall’altra una sinistra ibernata, a cui imputare arroccamento identitario e un uso di categorie antiquate. Fin qui la contrapposizione macchiettistica, che a dire il vero confligge con il profilo di studiosi apprezzati: Flores per i suoi studi sul totalitarismo comunista, Pezzino per una storiografia innovativa e niente affatto ortodossa sulle stragi nazifasciste e De Bernardi per un manuale tra i più adottati nelle scuole superiori. Per uscire fuori da un teatrino molto nervoso, potrebbe essere interessante domandare ai protagonisti cosa pensino dell’antifascismo: è ancora una categoria valoriale, una bussola culturale a cui ricorrere in un’Italia attraversata da pulsioni e istinti riconducibili al fascismo? O è una cara memoria da riporre serenamente in soffitta insieme a tanta attrezzatura del Novecento? Lo chiediamo a Flores, divenuto in rete bersaglio dei Wu Ming per una affermazione comparsa su Città Futura: «Antifascismo? A me ormai il termine antifascista, considerando anche chi lo usa con più forza e frequenza, fa venire in mente la Ddr». Professor Flores, che voleva dire? «Non si può usare fuori contesto una frase che riguardava l’antifascismo militante antidemocratico.
L’antifascismo oggi ha un valore politico, certo, ma solo se siamo capaci di storicizzarlo e di porci la questione della democrazia.
Antifascismo non può essere fare picchetti contro Casa Pound. A Forlì è finita con una scazzottata: una logica che non ci appartiene.
La vera emergenza oggi non è il ritorno del fascismo ma gli studenti che minacciano i professori. Problemi che la vigilanza antifascista non è capace di sciogliere». Ma al di là dell’uso retorico esercitato dalla sinistra antagonista dei centri sociali, non pensa che oggi il pericolo sia rappresentato non dal ritorno del fascismo organizzato ma dalla penetrazione nel tessuto sociale di abitudini culturali riconducibili a quella tradizione (vedi la destra nazionalista e xenofoba della Lega)? «Certo che è un problema.
Ma dobbiamo porci la domanda: come è stata possibile questa penetrazione? Perché La Lega dopo gli accadimenti di Macerata ha aumentato i consensi?
Scendere in piazza non basta».
Un’opinione analoga viene espressa da Alberto De Bernardi, che in passato ha manifestato la sua contrarietà a «fascismi e fascisti di cartapesta inventati per tenere in vita il mito dell’antifascismo». E ora, in un paese che invoca la razza bianca e “l’Italia agli italiani”, corregge la sua opinione? «Forse eccedo in ottimismo, ma non vedo all’orizzonte una minaccia autoritaria», dice lo studioso. «C’è il problema d’una destra xenofoba, questo sì, ma non penso che la democrazia sia a rischio. Da qui forse dipende anche una diversa concezione dell’Istituto che mi divide da Pezzino: io penso a una realtà più aperta, che collabori con altre forze culturali, invece di chiuderci in un fortilizio a difesa di un’identità minacciata». L’antifascismo, aggiunge, «è un’importante cultura politica che serve a capire alcuni dei processi in atto, ma non può essere usato come categoria onnicomprensiva che mette insieme No Tav e simpatizzanti di Assad. E la battaglia deve mantenersi su un piano culturale e pedagogico, non immediatamente politico».
«Ma chi dice che l’antifascismo oggi sia riducibile al picchetto contro Casa Pound? O alle bandierine ideologiche sventolate a sproposito?». Dalla sua casa di Pisa, Pezzino si mostra sorpreso.
«Questa è una fotografia caricaturale dell’antifascismo.
Come mi appare ridicola l’accusa secondo la quale vorrei chiudermi in una fortezza identitaria: non è certo questo il mio proposito, che ambisce al collegamento con istituti di ricerca europei. Mi piacerebbe invece capire quali siano le realtà a cui De Bernardi sta pensando: forse zone d’opinione che negli anni passati hanno contribuito alla banalizzazione del fascismo?». Le missioni principali dell’Istituto Parri, continua Pezzino, devono rimanere l’analisi dell’evo contemporaneo e la formazione degli insegnanti. «Ma questo non significa rinunciare ad avere un ruolo politico-culturale in un paese in cui la sinistra tende a essere afasica». L’antifascismo in questo modo «non è certo la difesa del deserto dei tartari, ma elemento vitale della battaglia politica attuale. All’indomani della caccia all’uomo nero a Macerata, mi sarebbe piaciuto che l’Istituto Parri contribuisse all’analisi dei simboli esibiti da Traini: la militanza nella Lega, il razzismo armato, il saluto romano, la bandiera italiana. E invece c’è stato un assordante silenzio». Come è mancata negli ultimi anni, aggiunge Pezzino, una riflessione sui rigurgiti neofascisti. Fare oggi della pedagogia antifascista «significa non urlare al ritorno del regime ma avere la consapevolezza che forze politiche che non si richiamano a quell’esperienza veicolano elementi come il nazionalismo e il razzismo». Sullo sfondo della battaglia tra i due candidati rimangono questioni per niente marginali: il rapporto con l’Anpi e il museo di Predappio. Se l’asse Flores-De Bernardi non è stata avara di critiche molto dure all’associazione dei partigiani, specie sotto la direzione di Smuraglia, la fazione pro Pezzino vorrebbe stabilire un confronto.
Quanto al museo sul fascismo, Flores e De Bernardi ne sono stati i principali sostenitori, mentre Pezzino interpreta il malumore di chi contesta la scelta della città natale di Mussolini come sede. A fine anno alla Casa del Fascio cominceranno i lavori. E intanto al vertice dell’Istituto Parri il 9 giugno ci sarà il nuovo presidente: a sceglierlo sarà il comitato che raccoglie i presidenti dei sessantaquattro istituti.