la Repubblica, 21 aprile 2018
L’Eta senza più consenso si scioglie e chiede perdono
La fine dell’Eta, sancita ieri con un documento che annuncia lo scioglimento ufficiale dell’organizzazione terrorista il prossimo 5 maggio, inizia in realtà alla fine del secolo scorso con l’omicidio di un consigliere comunale del partito popolare, Miguel Angel Blanco. L’orrore e l’avversione alla lotta armata che generò quel sacrificio – Blanco fu rapito e infine giustiziato – nella società basca segnò – insieme alla collaborazione sempre più stretta tra la polizia francese e quella spagnola l’avvio dell’epilogo. Ma ci furono anni in cui gli omicidi dell’Eta erano in Spagna uno stillicidio quotidiano. Ogni giorno la prima notizia dei notiziari del mattino. A morire erano sempre agenti di polizia, militari, funzionari locali, consiglieri comunali. Ma anche, come nelle cosche mafiose, militanti dell’organizzazione che volevano abbandonarla o piccoli industriali che si rifiutavano di pagare il pizzo. Quello che l’Eta chiamava “la tassa rivoluzionaria”, e grazie alla quale si finanziava.
Nella storia dell’organizzazione, nata nel 1958 dopo l’espulsione di un gruppo di studenti cattolici molto radicali dal partito nazionalista basco (Pnv), ci sono stati numerosi prima e dopo. Una stagione “romantica”, e di appeal dell’Eta, coincise con gli ultimi anni della dittatura franchista e con il più importante attentato che realizzarono, “l’operazione Ogro”. La bomba che fece esplodere alla fine del 1973 l’auto dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco, capo del governo e delfino del dittatore. Con il ritorno della democrazia (1977), l’Eta si spaccò in due. Una parte dei militanti rifiutò il terrorismo, un’altra fondò “l’Eta militare” continuando a uccidere fino al 2009. La lista delle vittime è impressionante, più di 800 persone, ammazzate, giorno dopo giorno, spesso con un colpo alla nuca o una sventagliata di mitragliatrice, davanti a casa o in mezzo alla strada, in qualche piccola località dei Paesi baschi. Persone anonime, colpevoli soltanto di portare una divisa o di essere politicamente nemici. Una delle azioni più barbare fu l’esecuzione di Yoyes, Dolores González Catarain, 32 anni, una militante che era uscita dalla clandestinità, uccisa mentre portava a spasso il figlio di tre anni nel parco del suo paese, Ordicia. Era il settembre del 1986. Dell’anno successivo è la prima azione dell’Eta lontano da Bilbao. L’autobomba davanti ai grandi magazzini “Hipercor” di Barcellona che provoca 21 morti e oltre quaranta feriti. Con questo attentato inizia la stagione delle autobombe. A Vic, in Catalogna, nel 1991, salta in aria la caserma della Guardia civil, dove vivevano anche le famiglie degli agenti. I morti sono dieci, cinque di loro bambini. In quel tempo, con il “commando Barcellona”, l’intenzione, fallita, dell’Eta era quella di raccogliere proseliti tra gli indipendentisti catalani.
Ma le due azioni che dovevano rappresentare l’ultimo salto in avanti della strategia del terrore falliscono. Il 19 aprile del 1995 un’autobomba esplode a Madrid mentre passa l’auto del leader del centrodestra, José Maria Aznar, che si salva per un soffio. E poco dopo fallisce un attentato a Palma di Majorca che avrebbe dovuto colpire il re Juan Carlos. Ora l’Eta non c’è più. 400 militanti “pentiti” si trovano nella carceri spagnole. Ma la pacificazione sarà ancora molto lunga. Alle associazioni delle vittime non è piaciuto il documento in cui i terroristi chiedono perdono soltanto per i morti “collaterali” che hanno provocato.