la Repubblica, 21 aprile 2018
Dal papello di Riina alla polemica con Napolitano
Dopo la strage Falcone
Secondo la ricostruzione dell’accusa, nel giugno 1992 i carabinieri del Ros avviarono una trattativa con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che avrebbe consegnato un “papello” con le richieste di Totò Riina per fermare le stragi. Circostanza sempre negata dai carabinieri imputati. Dalla testimonianza dell’ex direttrice degli Affari penali del ministero della Giustizia, Liliana Ferraro, è emerso che i carabinieri chiesero una «copertura politica» per l’operazione Ciancimino.
Il mistero di Borsellino
La dottoressa Ferraro rimandò il capitano De Donno all’allora procuratore aggiunto Paolo Borsellino. Cosa seppe per davvero Borsellino? A due colleghi disse in lacrime (un’altra circostanza emersa nell’inchiesta): «Un amico mi ha tradito». Chi è “l’amico” che tradì? Resta il giallo. Borsellino sapeva della trattativa? Aveva annotato qualcosa nella sua agenda rossa poi trafugata?
L’arresto di Riina e le bombe
Gennaio 1993. I boss avrebbero avviato una seconda trattativa, con altri referenti, Bernardo Provenzano e Marcello Dell’Utri. Mentre, nel corso di quell’anno, le bombe mafiose esplodevano a Roma, Milano e Firenze, un altro ricatto di Cosa nostra per provare a ottenere benefici. Secondo la procura, il governo avrebbe attenuato il carcere duro.
Le pressioni sul governo
«Dell’Utri ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso», hanno accusato i pm. «Il messaggio intimidatorio fu trasmesso da Dell’Utri e recapitato a Berlusconi». E ancora: «Nel 1994, Dell’Utri riuscì poi a convincere Berlusconi ad assumere iniziative legislative che se approvate avrebbero potuto favorire l’organizzazione».
Il ruolo di Brusca
Il primo a parlare di trattativa fu nel 1996 il pentito Giovanni Brusca. Nel 2008, il pool di Palermo inizia a raccogliere le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco, che consegna una copia di quello che sostiene essere il “papello” di Riina. Il supertestimone Ciancimino finisce poi in manette, arrestato dagli stessi pm di Palermo, per calunnia.
Il conflitto col Quirinale
Nel 2011, nel corso delle intercettazioni della Dia sui telefoni dell’ex ministro Mancino, finiscono registrate alcune conversazioni con l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che solleva conflitto di attribuzione con la procura. La Consulta gli darà ragione, ordinando la distruzione dei dialoghi.