La Stampa, 20 aprile 2018
Un figlio da sola
In Italia le famiglie con figli minorenni composte da un solo genitore (la madre nell’86% dei casi) sono oltre un milione. Tra loro ci sono anche donne che non vogliono rinunciare al sogno di un figlio (con una gravidanza o con un’adozione) anche se non hanno un compagno.
Nel nostro Paese la legge (40/2004) non permette alle donne single di sottoporsi a trattamenti di riproduzione assistita e anche adottare un bambino, al di fuori della coppia, è molto complicato. La realtà però, stando ai dati parziali di associazioni, cliniche estere e banche del seme, racconta che il numero di single aspiranti madri, o già madri, è in crescita.
Molte donne si rivolgono ai centri di riproduzione assistita di altri Paesi europei. «Nel 2016 – spiega la dottoressa Amelia Rodríguez-Aranda, direttrice della clinica Eugin di Barcellona – abbiamo avuto 125 pazienti italiane single, nel 2017 il numero è quasi quadruplicato, 485». Così come in aumento – calcola la banca del seme danese Cryos – sono le italiane che li contattano per ricevere una fialetta di sperma di un donatore per l’inseminazione «casalinga».
Un percorso complicato per una decisione molto delicata, quella di avere un figlio, per di più da sole. «Molte donne che si rivolgono a noi – spiega Elena Venuti, psicologa di Eugin che lavora con pazienti italiane, spagnole o di lingua inglese – chiedono un sostegno telefonico, via mail o di persona. Ci chiamano al termine di un lungo periodo di riflessione, ma hanno comunque dubbi e paure. Si chiedono che influenza avrà sul bambino il fatto di non avere un padre, o come spiegargli la sua nascita».
Sofferenza sociale
L’età media delle donne che si rivolge a loro è 38 anni. «C’è una sofferenza sociale generalizzata – prosegue Venuti -. Tante nostre pazienti sono laureate e sono state a lungo precarie. Hanno aspettato il momento giusto per una gravidanza e quando è arrivato non avevano un compagno. Ma il desiderio di maternità è rimasto».
Anche l’adozione – regolata dalla legge 184 del 1983, che la prevede per coppie sposate da almeno tre anni, meno se da lungo tempo conviventi – non è semplice. «È un percorso a ostacoli – sintetizza l’avvocato Andrea Maestri -. La norma è datata, così spesso tocca alla giurisprudenza individuare la giusta via. Per chi è solo c’è l’articolo 44, che prevede i casi particolari, ad esempio che un single possa adottare se ha vincoli di parentela con il bimbo o se diventa coniuge del genitore. Con la legge del 2015 c’è stata un’apertura per i soggetti affidatari, che possono iniziare il percorso di adozione dimostrando di aver stabilito legami stabili e continuativi con il minore». Ma anche se chi non è in coppia riesce a diventare genitore, l’adozione non è «piena»: «Nei casi particolari non si recide il legame con la famiglia di origine, se c’è, e non si creano quindi vincoli di parentela con gli adottanti. Sempre più famiglie, e sempre più donne sole, sono pronte ad accogliere un minore, italiano o straniero. Abbiamo bisogno di una legge che meglio si adatti alle evoluzioni della società».