il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2018
Allarme dell’associazione Antigone: “Oltre 500 detenuti diventati jihadisti in carcere”
Le carceri sono sempre più luoghi dove tra gli stranieri possono attecchire derive terroristiche. I detenuti sotto osservazione per il rischio di radicalizzazione sono infatti aumentati in un anno del 39%, passando dai 365 di fine 2016 ai 506 del 2017. Detenuti di fede islamica che anziché essere inseriti in un efficace percorso di recupero e rieducazione, si votano alla jihad proprio all’interno delle patrie galere. Come probabilmente accaduto al tunisino Anis Amri, il responsabile dell’attentato di Berlino del dicembre di due anni fa e ucciso dalla polizia a Sesto San Giovanni, che in precedenza aveva trascorso gran parte dei suoi cinque anni in Italia in alcune carceri siciliane.
A crescere anche il grado di pericolosità delle persone monitorate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: 242 sono classificati al più alto livello di allerta (erano 165 nel 2016), 150 sono ritenuti a livello medio (il doppio rispetto ai 76 di un anno fa), mentre sono 114 quelli considerati a basso pericolo (erano 124 un anno prima). Questi i dati del dossier sulle condizioni delle carceri italiane dell’associazione Antigone, che sottolinea come tra le cause del fenomeno ci sia la carenza di figure utili alla prevenzione. Non solo educatori e mediatori culturali, ma anche imam autorizzati a entrare in carcere: solo 17 per 7.194 detenuti che si dichiarano di fede islamica, nonostante il loro contributo sia considerato prezioso nel prevenire degenerazioni integraliste.
In tutto i detenuti in Italia sono 58.223, in aumento rispetto al minimo di 52mila toccato a fine 2015. E riguardo ai detenuti stranieri, Antigone sfata quello che chiama “bluff populista”: secondo quanto si legge nel report, “non c’è correlazione tra i flussi di migranti in arrivo in Italia e i flussi di migranti che fanno ingresso in carcere”. Negli ultimi quindici anni, infatti, gli stranieri residenti in Italia sono più che triplicati mentre il loro tasso di detenzione è diminuito di tre volte: se nel 2003, quando gli stranieri erano circa 1 milione e mezzo, finiva in carcere l’1,16%, oggi la percentuale si è ridotta allo 0,39% dei 5 milioni residenti. “Un dato che mostra come ogni allarme, artificiosamente alimentato durante la campagna elettorale, sia ingiustificato.”
Ancora attuale il problema del sovraffollamento, sebbene siano stati fatti passi avanti dopo la sentenza Torreggiani della Corte europea per i diritti dell’uomo, che cinque anni fa ha imposto al nostro Paese provvedimenti strutturali: a fine 2012 i detenuti erano 65.701 con una tasso di sovraffollamento, rispetto alla capienza ufficiale, del 140%. Tasso oggi sceso al 115,2%.
Antigone ha visitato 86 carceri su 189: in 10 istituti sono state trovate celle in cui i detenuti non avevano a disposizione la soglia minima di tre metri quadri, in 50 celle senza doccia e in quattro celle in cui il water non era in un ambiente separato. Condizioni che possono contribuire alla disperazione: 52 i suicidi registrati nel 2017, 7 in più rispetto all’anno precedente, 9.510 gli atti di autolesionismo. Di qui l’invito di Antigone perché il Parlamento metta mano a una riforma del sistema penitenziario: tra le innovazioni auspicate, “l’allargamento delle misure alternative, di gran lunga meno costose del carcere e più capaci di ridurre la recidiva e garantire la sicurezza della società”. E su quest’ultimo aspetto i dati non sono confortanti: il 39% delle persone uscite dal carcere nel 2007 vi ha fatto rientro, una o più volte, negli ultimi 10 anni. “Troppo spesso – rileva Antigone – il carcere non aiuta la sicurezza dei cittadini”.