la Repubblica, 20 aprile 2018
Tagli efficaci e tensioni in Africa. Il petrolio punta a quota 100 dollari
Milano Accordo che vince non si cambia. Parafrasando una massima calcistica, potrebbe essere questo il risultato finale del vertice che si apre oggi a Gedda, seconda città dell’Arabia Saudita sulle sponde del Mar Rosso. Qui si ritrovano i rappresentanti dei Paesi Opec, in una riunione allargata alla Russia: con ogni probabilità decideranno di prolungare l’accordo per il contingentamento delle quote di produzione del greggio. Sottoscritto nel gennaio 2017, l’accordo Opec- Russia è già stato prorogato alla fine dell’anno in corso e ora verrà esteso a tutto il 2019.
Il motivo è semplice: il taglio della produzione sta funzionando ed è uno dei motivi del rialzo del prezzi degli ultimi mesi. Non per nulla, in previsione del vertice, le quotazioni sono cresciute anche ieri sui mercati finanziari: sia l’indice europeo Brent, sia quello americano Wti sono ai massimi dal dicembre del 2014, avendo raggiunto rispettivamente i 74 e i 69 dollari.
In realtà, i grandi investitori internazionali – e in particolare gli hedge fund che cercano rendimenti alti nel breve periodo – scommettono su un ciclo di prezzi al rialzo anche nei prossimi mesi. Ingolositi dai report secondo cui i sauditi, i loro alleati nell’Opec e la Russia vedono i prezzi salire fino a 80-100 dollari.
Un eccesso di ottimismo da parte dei Paesi produttori, dopo gli anni di magra in cui i prezzi sono scesi anche sotto i 30 dollari? Di sicuro, la tendenza è positiva. Come spiega un analista del settore «siamo di fronte a una teoria economica che si è rivelata corretta alla prova dei fatti: prima avevamo un eccesso di offerta rispetto alla domanda, ora siamo nella fase esattamente contraria. E di fronte a una domanda che eccede la disponibilità i prezzi salgono».
Oltre al taglio delle quote, ci sono altri fattori da tenere in considerazione. Dall’Asia la domanda di energia continua a salire: Cina e India saranno anche diventate le potenze mondiali delle rinnovabili, ma in questa fase di transizione hanno ancora bisogno di idrocarburi. Poi ci sono le tensioni geopolitiche: la produzione in Libia incontra sempre difficoltà, la Nigeria – sebbene se ne parli poco – fatica a trovare investitori per lo sviluppo dei suoi campi, l’Iran potrebbe essere soggetto a un nuovo embargo internazionale e i mercati non mettono più in conto la produzione venezuelana. Ultimo dato favorevole al rialzo dei prezzi: le scorte petrolifere, a lungo in eccesso, sono tornate in linea con la media degli ultimi 5 anni, come volevano Opec e alleati.
Tutte buone notizie per i sauditi. Nonostante non abbia ancora fissato una data, la dinastia wahabita lavora sempre alla quotazione in Borsa di Aramco, la società di Stato accreditata delle più grandi riserve mondiali, che nel primo semestre ha prodotto utili per 33 miliardi di dollari ( prima al mondo, meglio ancora di Apple). Sulla carta potrebbe essere la matricola più “ricca” mai approdata su un listino ( ancora da decidere se a Londra, New York oppure Hong Kong). I soldi ricavati serviranno al principe ereditario Mohammad bin Salman per sovvenzionare il piano di rilancio dell’economia con apertura agli investimenti stranieri. E con il greggio ai massimi, potrebbe essere ancora più ricca.