Il Messaggero, 19 aprile 2018
Prima del regista ci fu il paparazzo
Quando Alfred Eisenstaedt scattò la famosa immagine del bacio a Times Square, il 14 agosto del 1945, giorno in cui finì la guerra contro il Giappone, Stanley Kubrick era ancora un liceale svogliato, che aveva già pubblicato la sua prima foto su un giornale. Quell’immagine di un edicolante affranto per la morte di Roosevelt piacque così tanto a Look Magazine, da permettere al futuro regista di 2001 Odissea nello Spazio di entrare nello staff della redazione, a soli 17 anni. Lo stile della rivista era invasivo, non piaceva a tutti i reporter. Bisognava seguire il soggetto costantemente, in ogni cosa che faceva. Il giovane Kubrick si impegnò con passione. Escogitò degli stratagemmi per passare inosservato: nascondeva l’obiettivo sotto una manica della giacca e scattava con il pulsante nel palmo di una mano. Il suo senso della composizione si affinò rapidamente; negli interni cercava sempre di ricorrere alla luce naturale, agendo sui tempi del diaframma, ed era velocissimo a cogliere l’attimo in cui quell’immagine imperdibile (e quella soltanto) si creava davanti ai suoi occhi. Insomma, in cinque anni di lavoro si formò tutto il suo senso estetico futuro. Le foto impressionano per la loro maturità e ricordano, in alcuni casi, scene rubate dai set dei suoi film successivi. Criminali che sembrano quelli di Rapina a mano armata; ritratti folli come Shining.
LA PRIMA LEICA
La passione giovanile di Kubrick era iniziata quando aveva tredici anni e il padre gli regalò la prima macchina fotografica. Stanley era un ragazzo che amava le fiabe nordiche e la poesia simbolista, leggeva avidamente Nietzsche, ma aveva pessimi voti a scuola. Kubrick non riuscì a essere ammesso in alcun college, e si ridusse a partecipare a corsi serali. Ma riuscì a vincere tornei di scacchi (un’altra delle sue passioni), e girava sempre con la sua Leica, o con la Rolleiflex, a caccia di vittime da immortalare. Di tanto in tanto, il periodo da paparazzo di Kubrick (ancora così poco conosciuto) riaffiora e diventa il tema di una mostra. La prossima occasione sarà a partire dal 3 maggio, quando al Museum of the City of New York si aprirà Through a Different Lens: Stanley Kubrick Photographs, a quasi vent’anni dalla morte del regista di Barry Lyndon.
SENSO DI CONTINUITÀ
Ciò che più sorprende è la continuità di questa passione, che sfocia immediatamente in quella successiva, il cinema. In uno degli ultimi servizi per Look, Kubrick immortalò i pugili Rocky Graziano e Walter Cartier. E proprio quest’ultimo, ormai al termine della carriera, sarebbe stato il protagonista del suo primo documentario, Day of the Fight, girato a poco più di vent’anni, con quasi quattromila dollari racimolati da parenti e amici.
Un ritratto del vignettista Peter Arno, mentre canta con la bocca congelata in una smorfia, sembra quasi Jack Nicholson in Shining, ma con in più tutta la spensieratezza e la leggerezza dei cartoon del New Yorker Magazine. Altre foto paiono scattate da un voyeur a caccia di vittime, coppie colte in atteggiamenti romantici nella metropolitana o nei giardini pubblici; chissà se il regista se ne ricordava ancora, quando girò il suo ultimo film, Eyes Wide Shut. Mentre pattugliava le strade con la macchina al collo, Kubrick coltivava anche la sua passione per il cinema, e colpisce che la serie di bambini lustrascarpe colti al lavoro a Manhattan sia stata scattata proprio l’anno dopo l’uscita nelle sale di Sciuscià di Vittorio De Sica.
Alcuni fotogrammi in cui Kubrick documenta l’arresto di criminali non possono non portare alla mente certe immagini di Rapina a mano armata (1956), in cui Kubrick si inventò uno stile che procede per salti temporali, come in certi film di Tarantino. Fatale che il giovane paparazzo si imbattesse anche nei protagonisti del cinema dell’epoca; è il caso dei ritratti di Montgomery Clift, e di Betsy von Furstenberg, una bellezza d’altri tempi, che prese parte a una celebre serie tv firmata Alfred Hitchcock.
«Ho imparato molto di più vedendo film che leggendo pesanti tomi sull’estetica del cinema», ebbe a dire una volta il regista. Ma di certo imparò altrettanto dalla sua passione per la fotografia.