la Repubblica, 19 aprile 2018
Quell’attrice troppo magra per il ruolo della grassa
Bellissima, rozza, forte, magra, cicciona, carina, brutta, sexy, disgustosa, perfetta, donna”. Non basta un aggettivo: la bionda, pneumatica Amy Schumer, protagonista di uno show su Comedy Central ( Inside Amy Schumer), lanciata dal regista di commedie più influente a Hollywood (Judd Apatow), così si definiva su Instagram sotto uno scatto di Annie Leibovitz che la ritraeva nuda.
Nulla paragato alle polemiche per I feel pretty, film al femminile bollato come “Fat-phobic” (“grasso-fobico”) prima dell’uscita domani nelle sale Usa. Agli americani non va giù il ruolo di una donna con scarsa autostima e bruttina che un giorno si guarda allo specchio e si crede una top model. Nel film, infatti, Amy Schumer batte la testa durante una lezione di spinning e si risveglia sentendosi bella. Ma non sa che il suo aspetto fisico è rimasto lo stesso. Nonostante lo humour, Amy, 36 anni, 72 chili, “non è grassa abbastanza per interpretare una donna zotica e cafona” si legge nei furiosi commenti online. Finora i troll in rete, molte donne, bollavano l’attrice (da 37 milioni e mezzo di dollari, fonte Forbes) proprio come “brutta grassa”, invece ora “è così bionda e carina che finisce per offendere tutte le donne”, dice il New York Post.
E pensare che ha puntato la sua carriera da comica proprio sul peso: “A Los Angeles le mie braccia sono registrate come gambe”, ha detto a Comedy Central, oppure “Supero i 70 chili di peso. E riesco a fare sesso tutte le volte che voglio” (il discorso per il premio come donna dell’anno a Glamour UK).
America e ciccia non sono mai andati d’accordo: prima di Amy, ci sono passati Eddie Murphy, tre ore di trucco al giorno per Il professore matto, Gwyneth Paltrow obesa in
Amore a prima svista, Il mio grasso grosso matrimonio greco,
il “primo ministro” Hugh Grant innamorato della segretaria in Love actually (peccato, dice, quel “sedere grasso”). L’unico a salvarsi dal politicamente corretto è il documentario di denuncia Super Size Me, candidato agli Oscar. L’autore, Morgan Spurlock, prova gli effetti sul fegato di 30 giorni di dieta a base di hamburger.
Gli Usa di Schumer e Weinstein sono fatti di perbenismo, dice il saggio di Katie Roiphe su Harper’s Magazine. Sottotitolo: “Come il femminismo su Twitter fa male alle donne”.
“Parte di ciò che disturba”, si legge, “è il tono di purezza morale. Sembriamo tutti divisi tra l’impeccabile e il decaduto, il moralmente corretto e il dannato”. Gli haters che passano sopra le malefatte di Harvey, al cinema, anche quando il messaggio del film va in direzione opposta, non risparmiano le questioni di chilo.