la Repubblica, 19 aprile 2018
«Sì a mouse, no a vision così si salva l’italiano». Intervista a Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca
ROMA Studiare l’inglese è una cosa, pensare di educare i giovani all’imprenditorialità appiccicando qua e là etichette in una lingua straniera è un’altra». Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, forse è un po’ sorpreso del pasticcio di questi giorni con la ministra Valeria Fedeli a proposito del documento destinato alle scuole e infarcito di parole straniere; sorpreso, ma non pentito. Del resto, ha appena finito di scrivere un libro per Rizzoli che si chiama L’italiano è meraviglioso. Come e perché dobbiamo salvarlo (dal 30 aprile in libreria): più chiaro di così.
Professore, una lite tra la Crusca e il ministero dell’Istruzione non si era mai vista.
«Mi ha stupito che la ministra ci abbia messo la faccia in quel modo.
Nemmeno l’avesse scritto lei, il documento che abbiamo criticato.
Pace, magari lo pubblicheremo integralmente sul nostro sito, così ognuno leggerà e giudicherà».
Non le sembra di esagerare?
«Ma quello non è un documento per una scuola ideale. La scuola non deve diffondere un aziendalese di bassa lega, ma invece ragionare sulla presenza di questo linguaggio nel mondo dell’industria e, aggiungo, sulla sua superfluità».
Però si sa che l’economia parla soprattutto inglese.
«Infatti sembra un testo scritto da un gruppo di lavoro di Confindustria».
Guardi che ora litiga anche con Confindustria.
«In generale, io non decido come Confindustria debba esprimersi, ma che siano le aziende a decidere come debba parlare la scuola, non lo trovo ammissibile. La scuola deve trasmettere i principi base della cultura, del vivere civile. Quello è un Bignami del linguaggio industriale.
Chiunque lo abbia scritto, si arrabbi pure ma ha sbagliato».
Quali parole inglese ritiene davvero superflue?
«Bisogna distinguere. Ci sono termini stranieri davanti ai quali ci si deve fermare, la traduzione è impossibile o campata per aria.
Soprattutto nel linguaggio informatico. Se dico wireless, cosa vogliamo farci? Resta wireless e basta».
Mouse?
«Mouse si sarebbe potuto tradurre tranquillamente con “topo”, ma ormai è andata, e poi indica un oggetto, non è pericoloso per la lingua. Inorridisco invece quando per esprimere concetti anche banali cominciamo a dire mission o
vision. Non ne abbiamo bisogno. E aprire a queste parole la porta della scuola significa canonizzarle, consentire ragionamenti del tipo “vision è perfetta, lo dicono a scuola!”. Nel famoso documento si arriva a sostituire il “gruppo di lavoro o di studio” con team building... Ma, insomma, i gruppi di studio sono sempre esistiti, a cosa ci serve ora tradurli in inglese?».
Il Gruppo Incipit, che ha al suo interno una consistente rappresentanza della Crusca, ha proprio questa missione: arginare l’uso dell’inglese. Ma ammetta che è una battaglia persa.
«Il gruppo Incipit intanto non ha lo scopo di dire alla gente come deve parlare, bensì quello di dare suggerimenti al legislatore e alla pubblica amministrazione.
Interviene solo quando durante i lavori delle commissioni parlamentari cominciano a ricorrere termini stranieri che non servono».
Con il Jobs Act non è andata molto bene. Così era, così è rimasto.
«Ma dopo un nostro intervento l’Agenzia delle entrate ha sostituito voluntary disclosure con “collaborazione volontaria”. E whistleblower in commissione è diventato “allertatore civico”. Tutti suggerimenti di buonsenso, come “ristorante domestico” per home restaurant, che vengono resi pubblici solo e soltanto quando i membri del Gruppo raggiungono l’unanimità”.
Un po’ come vuotare il mare con un secchiello. Come mai siamo così permeabili davanti all’inglese?
«Siamo di fronte a una cultura che sentiamo egemone, e che in parte lo è. Ma non dobbiamo rinunciare a noi stessi. Il 20 marzo Emmanuel Macron ha parlato per un’ora e cinque minuti davanti all’Accademia di Francia, annunciando la volontà di rilanciare la lingua francese nel mondo. Rispetto alla storia della Francia, abbiamo meno carte da giocare, però le assicuro che se si ascolta Macron si resta colpiti.
Perché non dovremmo impegnarci anche noi in qualcosa di simile, con un po’ di decisione?».
Hanno persino tradotto computer con ordinateur. I francesi sulla lingua sono decisi per tradizione.
“Un orgoglio che suscita rispetto ovunque. Invece, pensa un po’, a me danno del passatista. L’inglese deve essere studiato e imparato bene, anzi benissimo. Oggi è fondamentale. Ma non mi sembra il caso di provare una commozione mistica».
Come si fa a convincere i giovanissimi?
«C’è solo una strada. Mostrare loro che esistono equivalenti italiani.
Quando si parla di lingua, nessuno deve obbligare nessuno a fare niente. Ma far credere che non esistono alternative... Spiacente, non ci sto».