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 2018  aprile 19 Giovedì calendario

Le bestie giganti della Bassa

Non ci sono più i maiali di una volta. Anche la grande pianura è cambiata: da almeno duecento anni è una grande piattaforma artificiale, fossi e pioppeti compresi. La botta ambientale, ecologica, del sovraffollamento animale è innegabile, visibile, fiutabile, oltre che commestibile. Quindi, nessuna sorpresa per le deiezioni, gli allevamenti abnormi, l’impatto di milioni di grugniti e chilometri lineari di insaccati sulle nostre vite, intorno alle nostre città. Indietro sarebbe favolistico tornare. Perché un tempo la Valpadana era completamente coperta dalla foresta planiziale e nel suo folto (il saltus) venivano allevati i porcelli allo stato brado. Il mangime cascava dal cielo. Selve di querce ghiandifere per schiappi di suini non rosa, non large white, non tubolari come una vivente mortadella quadrupede. La morfologia del maiale oggi ne prefigura il prodotto macellato, lavorato, finito. Sino alla prima parte dell’Ottocento le bestie erano geneticamente il contrario di quelle contemporanee: snelle, setolose, colorate. Nell’Alto Medioevo erano il carburo carneo delle abbazie, dell’economia dei potenti, dei conflitti fra i porcari, la problematica longobarda dell’Editto di re Rotari.
In questa parte di mondo costruita come un catino fra gli Appennini e le Alpi, lo sviluppo s’è fondato sul maiale (consacrato a Maia, divinità dell’abbondanza coincidente con la Terra). Il porco è un archetipo, tanto che ancor prima delle necropoli i siti etrusco-padani svelano i grandi cimiteri d’ossi animali. È qui dove mancano all’appello statistico i femori, cioè le cosce, le zampe posteriori perché già destinate al commercio estero nel mondo celtico e in quello greco e magnogreco. Senza dazi. Poi le bestie da brade (nella foresta) sono diventate domestiche (single, dentro il porcile) e infine popolo industriale (contingentato negli allevamenti zootecnici). I discendenti rosa di Timmy, Tommy e Jimmy hanno una vita parallela a quella delle vacche lattifere per il Grana Padano di qua e del Parmigiano Reggiano di là del Po. Allevare, stagionare, affettare, grattugiare sono attività che – appunto – hanno resa artificiale la fossa tettonica padana, da Torino a Venezia, da Bologna a Varese. Dove sono anche le nebbie a contribuire alla costruzione dei salami all’antica.
Gli allevamenti entrano nel naso. La parte grassa riscaldata diviene fluida riconsacrando per ogni cicciolo il fenomeno del maiale destructus. Strutto, per farla breve. Con loro, con i maiali, la convivenza valpadana è venale e fatale. Da qualche migliaio d’anni condividiamo con loro un gioco d’ingerimento: triturati finiscono nei loro stessi budelli che noi, a nostra volta, introduciamo in apparato digerente. Destructus il maiale, destructus l’ambiente, destructa la dieta. Ma è così buono.
* Scrittore e direttore della Gazzetta di Reggio