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 2018  aprile 19 Giovedì calendario

La filiera del prosciutto minaccia l’ambiente

Il prosciutto è una squisitezza. Peccato che, come rivela un rapporto della Ong ambientalista “Terra!”, la filiera nazionale del prosciutto sia del tutto insostenibile dal punto di vista ambientale. Anzi: va considerata una vera e propria bomba ecologica. Basti pensare che i 12 milioni di maiali macellati ogni anno nel nostro Paese – la gran parte impiegati per produrre Parma e San Daniele, i cui disciplinari prevedono che gli animali siano nati, allevati e macellati in Italia – producono annualmente una quantità spaventosa di escrementi: ben 11,5 milioni di tonnellate l’anno, quasi tutte smaltite in modo inquinante, ovvero sparse sui campi mettendo in pericolo le falde acquifere.
È come se ci fosse una popolazione aggiuntiva di 25,5 milioni di persone non collegate alla rete fognaria.

Ma questa è solo una delle molte inquietanti rivelazioni del rapporto «Prosciutto Nudo», che mette nel mirino le conseguenze dell’allevamento industriale intensivo, una tecnica inventata negli Stati Uniti negli anni ’70 e che ormai ha dilagato nel mondo. «Una tecnica – spiega il giornalista e scrittore Stefano Liberti, autore del rapporto – che permette grande efficienza, grandi produzioni a basso prezzo per i consumatori, e grandi profitti. Ma che scarica all’esterno le conseguenze negative per la salute del territorio, delle persone e degli animali. Un modello ormai insostenibile».
Allevamenti intensivi
L’88% dei maiali presenti nel nostro Paese (come detto, 12 milioni l’anno, oppure 8,6 milioni considerando che la «speranza di vita» di un suino da noi è di soli nove mesi) è rinchiuso in pochi (circa il 10%) allevamenti di grandi dimensioni, con più di 500 capi. Lager dove i suini trascorrono la loro breve vita senza mai uscire all’aria aperta, spesso in gabbie singole, senza possibilità di movimento, imbottiti di antibiotici per evitare malattie e ingrassare presto.
La stragrande maggioranza degli allevamenti italiani è concentrata in un’area ristretta: pochi chilometri quadrati tra Mantova, Brescia, Reggio Emilia e Modena. Quasi la metà dei maiali si trova in Lombardia, con ben 3.937.201 capi. Il record è in provincia di Brescia, con 2.180 allevamenti e 1.289.614 suini, vale a dire più maiali che umani residenti (1.262.678). Considerando che un suino in un anno «produce» 15 volte il suo peso in deiezioni, questo liquame orrendo pieno di azoto, fosforo e potassio invece di diventare utile biogas va sui campi e poi nelle falde acquifere. Insieme alle feci, ci vanno anche i molti farmaci somministrati agli animali. Il 68% degli antibiotici consumati in Italia è somministrato negli allevamenti, tre volte più che in Francia, quasi come negli Usa e in Cina. Medicinali che finiscono nelle falde acquifere, a peggiorare il fenomeno sempre più allarmante dell’antibiotico resistenza, che dà vita a ceppi di batteri sempre più difficili da vincere.
Il costo ambientale
Infine, i costi ambientali in senso esteso: per far funzionare una filiera così divoratrice di risorse, occorrono 3,5 milioni di tonnellate di mangimi (in prevalenza importati, in prevalenza Ogm), e tantissima acqua. Risultato: per produrre un chilo di prosciutto servono 4 chili di cereali, 6.000 litri d’acqua, 1,4 mg di antibiotici. Con il sottoprodotto di 11 chili di feci, e 12 chili di emissioni di CO2.
Che fare? “Terra!” propone di ridurre drasticamente i consumi di carne. «Intanto – spiega il direttore Fabio Ciconte – bisogna dare ai consumatori un’etichetta trasparente, che riveli la provenienza da allevamento intensivo e gli impatti associati. Contribuendo così a rompere quella distanza cognitiva che si è venuta a creare tra la carne che consumiamo e l’animale da cui proviene». E poi, tornare agli allevamenti tradizionali all’aperto, oggi per fortuna in ripresa, come quelli della Cinta Senese o della Mora Romagnola. Ma noi consumatori capiremo che di prosciutto sostenibile ce ne sarà poco e costerà caro?