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 2018  aprile 19 Giovedì calendario

Siria, cronologia di una strage

1970 Il pugno di ferro della dinastia Assad
La forza della dinastia degli Assad nel regime risale al 1970, quando Hafez al Assad, padre di Bashar – emerso come uomo chiave dopo il golpe militare del 1966 – allora ministro della Difesa, con un colpo di Stato quasi indolore prese le redini del Paese, indebolito dalla guerra persa contro Israele nel 1967. Da subito marginalizza il partito socialista Baath, rafforza i suoi circoli alawiti (una setta sciita) e promuove minoranze come quella cristiana a scapito della maggioranza sunnita. Poi dà inizio alla politica repressiva delle opposizioni: arresta i militanti dei Fratelli musulmani ma anche liberali e comunisti. Nel febbraio 1982 a Hama,la rivolta popolare islamica fu spianata dalle cannonate. Agli osservatori indipendenti fu impedito l’accesso. Si ipotizzano oltre 20.000 morti.
2000 Bashar al potere, la primavera sirianaA succedere ad Hafez era stato designato il figlio Bassel, ma morì in un incidente d’auto nel 1994. Hafez sceglie allora l’altro figlio Bashar che stava studiando oftalmologia a Londra. Alla morte del padre nel 2000 Bashar diventa presidente e confermato con elezioni farsa con il 99,7% delle preferenze. Parla inglese meglio dell’arabo e solleva grandi speranze nel Paese e in Occidente. Per alcuni mesi soffia un vento nuovo: crescono i circoli intellettuali, si affievolisce la censura sui media, vengono liberati diversi prigionieri politici. 
2001 Tornano i tribunali speciali
Ma già nel 2001 i potenti apparati di sicurezza riprendono il controllo, le carceri e i tribunali speciali si riattivano, la dittatura torna a imporre silenzio e disciplina in nome dell’«unità nazionale». L’assassinio del leader sunnita libanese Rafiq Hariri nel 2005, assieme a quelli di diversi intellettuali libanesi critici del monopolio siriano, segnano per sempre la restaurazione. Su quell’omicidio la commissione d’inchiesta Onu punta il dito sui servizi siriani e hezbollah (i miliziani sciiti libanesi). Alle elezioni del 2007 Assad viene riconfermato con il 97,6% delle preferenze.
2010 Nominato cavaliere di Gran Croce
Nel corso del 2009 l’Associazione Human Rights Watch segnala le sistematiche violazioni dei diritti umani, ma Bashar resta benvoluto in Occidente. Viene ricevuto a Parigi, a Londra, al Quirinale e in Campidoglio con tutti gli onori. Tra i vari riconoscimenti e premi che gli arrivano dall’Europa c’è anche quello italiano. Nel 2010 il presidente Napolitano è in visita ufficiale a Damasco e lo nomina Cavaliere di Gran Croce «per i suoi impegni per la pace». Due anni dopo la Commissione affari esteri della Camera cancella l’onorificenza per «indegnità».
2011 La rivolta
Il 15 marzo 2011 a Damasco iniziano le prime marce di protesta sull’esempio delle «primavere arabe», che negli ultimi mesi hanno scosso Tunisia, Egitto e Libia. Sono eventi pacifici: si chiedono la fine del monopolio alawita sulla dirigenza del Paese, dei nepotismi del regime, della corruzione, riforme democratiche, libere elezioni con osservatori stranieri indipendenti e il rilascio dei prigionieri politici. Ma la situazione degenera nella cittadina di Daraa, dove i servizi segreti gettano in carcere alcuni ragazzini che scrivono graffiti rivoluzionari sui muri. La tortura e l’assassinio di uno di loro scatena le folle. Il regime reagisce sparando ad alzo zero. Alla fine di maggio si contano già oltre 1.000 morti. 
2012 Nasce l’Isis
Molti soldati disertano e si uniscono alle folle. Nell’estate 2012 è piena guerra civile. Poco dopo appariranno le foto dei cadaveri torturati di migliaia di prigionieri politici uccisi in carcere (collezione foto Caesar). I servizi segreti siriani reagiscono liberando migliaia di detenuti militanti di Al Qaeda dal carcere di Saydnaya, vicino a Damasco. Hanno il compito di «criminalizzare» le opposizioni: se i loro militanti passano tutti come pericolosi jihadisti l’Occidente non correrà in loro aiuto. A loro si aggiungono a migliaia i volontari stranieri della jihad, che, con i finanziamenti diretti e indiretti da Arabia Saudita, Qatar e Paesi del Golfo, diventano le colonne combattenti di Isis.
2013 Silenzio di Obama, interviene Russia e Iran
Mentre il regime e i suoi alleati elimina i capi moderati della rivoluzione, i ribelli diventano bande anarchiche, in lotta tra loro, con la crescente presenza di Isis. Quando Bashar ricorre alle armi chimiche contro la sua popolazione in rivolta, Barack Obama, tradendo la sua promessa di intervento in caso di uso di armi non convenzionali, non muove un dito. 
Tra le considerazioni Usa trionfa una domanda: «Che fare? Se eliminiamo Bashar, il Paese cadrà nel caos e preda degli islamici come l’Iraq dopo Saddam o la Libia del post Gheddafi». 
A metà del 2013 gli iraniani e i russi capiscono che possono continuare a sostenere l’alleato Bashar. Putin non intende abbandonare le basi russe in Siria, che presidiano il Mediterraneo dai tempi della Guerra fredda. 
2015 L’aviazione russa bombarda
Nel 2014, senza l’ombra di un osservatore internazionale, Assad è rieletto con l’88,7% dei voti. Intanto l’Iran invia migliaia di «volontari», Putin forniture d’armi, soldati e caccia. Il regime riprende forza e dove non ci sono i soldati lealisti intervengono Hezbollah e i contractor russi. Senza di loro Assad sarebbe stato eliminato da un pezzo.
Aprile 2018 Assad ha vinto
Il 7 aprile 2018 il regime sta eliminando l’ultima sacca di resistenza a Douma: circa 1900 morti, su almeno 60 vittime si sospetta l’uso di armi chimiche. Il 14 aprile il blitz americano con gli alleati franco-britannici, e il lancio di 105 missili contro gli impianti di armi chimiche siriane non cambia l’equilibrio delle forze. Dopo oltre mezzo milione di morti e circa 12 milioni tra profughi emigrati all’estero e sfollati interni, Bashar al Assad, per il momento, dorme sonni tranquilli.