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 2018  aprile 19 Giovedì calendario

Addio a Barbara Bush la «nonna d’America» che forgiava presidenti

Barbara Bush, la matriarca di una delle più grandi dinastie politiche americane, la moglie del 41esimo e la madre del 43esimo presidente degli Stati Uniti, è spirata ieri a Houston nel Texas all’età di 92 anni, circondata dal marito George Sr, dai 5 figli e dai 14 nipoti. Affetta da gravi disfunzioni cardiache e polmonari, domenica scorsa aveva rifiutato ulteriori cure in clinica e si era fatta riportare a casa. «Non ha avuto paura di morire – ha dichiarato George Jr —, l’ha sorretta la sua fede nell’aldilà». A gennaio aveva celebrato i 73 anni di matrimonio con George Sr, ora verrà sepolta accanto alla figlia Robin, uccisa dalla leucemia all’età di 3 anni. Una tragedia che l’aveva segnata per sempre, imbiancandole i capelli e spingendo i media, consci del suo carattere astuto e forte, a soprannominarla «la volpe d’argento». 
La decisione di spegnersi in famiglia e la speranza di unirsi alla bambina perduta nel 1953 spiegano perché Barbara Bush sia ricordata non tanto come una delle first lady più popolari della storia americana, con un consenso del 63 per cen- to, quanto come «La nonna d’America». Barbara Bush, un pilastro del Partito repubblicano, si era detta tale nel ’90, durante la presidenza di George Sr, quando le studentesse del Wellesley College, l’Alma mater femminista di Hillary Clinton, l’avevano contestata, e aveva risposto che la famiglia viene prima della politica: «Il successo della nostra società dipende non da quanto accade alla Casa Bianca ma da quanto accade nelle nostre case».
Non per questo tuttavia il servizio segreto aveva battezzato Barbara Bush «Tranquillity», bensì in contrapposizione al nomignolo datole dai figli di «Enforcer», gendarme o giustiziere. La first lady era una madre dura, dalla lingua e l’umorismo tagliente, «il nostro collante» l’ha definita ieri una delle nipoti, Jenna. Esigeva dai figli impegno e disciplina, e aveva rimproverato pubblicamente George Jr, che da giovane ne dimostrava pochi: «Sei così perché sebbene incinta di te ho continuato a fumare e a bere». A Bush Sr che la presentò come «il mio migliore consigliere» ribatté: «Lo credo bene. Qualcosa non funzionerebbe se dopo mezzo secolo non mi ascoltassi».
Nata Wasp, ossia bianca anglosassone e protestante, l’elite del Nord Est americano, da un padre imparentato con Franklin Pierce, il 14esimo presidente degli Stati Uniti, Barbara Bush s’era innamorata di George Sr a 16 anni, e l’aveva sposato nel 1945, al suo ritorno dalla Seconda guerra mondiale. Nel 1950 aveva seguito il marito nel Texas alla ricerca del petrolio, e nel 1970 lo aveva incoraggiato a entrare in politica. Ambasciatore all’Onu, diplomatico in Cina, direttore della Cia sotto Nixon e Ford, nel 1980 Bush Sr si era candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Reagan lo sconfisse alle primarie, ma lo nominò vicepresidente.
Nei suoi 12 anni alla Casa Bianca, 8 come vice first lady e 4 come first lady, Barbara Bush fu un modello di civismo. Lanciò la «Campagna per l’alfabetizzazione dell’America» e, in contrasto con Reagan, difese il diritto della donna all’aborto. Prima di George Sr e George Jr l’America aveva avuto un altro padre e figlio presidenti, John e Quincy Adams, ai primi dell’Ottocento.
Ma Quincy Adams era entrato alla Casa Bianca dopo la morte della madre e non aveva potuto avvalersi dei suoi consigli. I Bush, incluso l’altro figlio, Jeb, governatore della Florida, hanno invece ascoltato la voce di Barbara, una voce che si è fatta sentire due volte alle elezioni del 2016. La prima, quando cercò di dissuadere Jeb dal candidarsi presidente: «Abbiamo avuto abbastanza Bush». L’altra quando accusò Trump di misoginia: «Non capisco come si possa stare con lui».