Libero, 17 aprile 2018
Dona un pezzo di fegato al figlio di un anno. E lo salva
Il tempo. Per il piccolino sembrava già finito. Nonostante, a un anno soltanto, la vita sia appena cominciata. Mamma e papà hanno passato ogni notte e ogni giorno a sperare e confidare nella telefonata della salvezza. Quella che avrebbe dovuto annunciare la disponibilità di un organo sano. Un fegato in questo caso. Perché quello del bambino, era così malato da dover essere sostituito. Al più presto.
Quella telefonata però non è mai arrivata. Così il bambino è rimasto in ospedale, praticamente fin da quando è nato. E lì, in reparto, i medici hanno cercato di tamponare. Fino all’impossibile. Cioè fino a quando la malattia si è complicata al punto di non lasciare scampo. Se non sostituendo il fegato malato con un altro sano. Si sa: dietro la fine di una persona che sceglie di donare i propri organi, c’è sempre qualcun altro che può salvarsi. Se non fosse che stavolta il donatore però non è arrivato. Così, e per la seconda volta dopo vent’anni, il padre del piccolo ha scelto di diventare donatore. Cedendo il suo di fegato. Il trapianto epatico da donatore vivente è possibile, dietro autorizzazione del ministero della Salute. E il papà del bambino non ci ha pensato due volte. Formalizzata la pratica, si è fatto addormentare per cedere al piccolo il 25 per cento del suo organo vitale.
IL CENTRO DEL MIRACOLO
Si verifica tutto a Padova, al Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’Azienda ospedaliera universitaria diretta dal professor Umberto Cillo. A intervento eseguito e riuscito, restano la commozione dei medici (una decina in sala chinati sul piccolino per cinque ore) e le parole del padre-donatore, che al risveglio ha voluto soltanto sapere di lui. Ha superato l’intervento, il piccolo paziente. La probabilità di un rigetto è quasi impossibile, data la compatibilità genetica. E anche il papà, tempo un mese, potrà riprendere la vita di sempre. L’intervento non è stato semplice (un caso analogo si è ripetuto a Bergamo Ospedali Riuniti nel 2006); a Padova non succedeva dal 1997. Dodici anni prima era stato eseguito (14 novembre 1985) il primo trapianto di cuore in Italia. Poi i chirurghi universitari della città veneta conquistano il nuovo primato. All’epoca si era trattato del primo trapianto di fegato tra persone viventi, in Italia. Il bimbo salvato fu ricevuto dal Papa. Si chiamava Katrak, aveva undici anni. Un micidiale tumore lo stava uccidendo lentamente. Il padre di 42 anni, impiegato delle Ferrovie, gli aveva regalato parte del suo organo. Diciotto ore di intervento. Anzi, di duplice intervento: l’espianto di una parte del fegato del donatore e successivamente l’impianto dello stesso organo nella pancia del bambino. Il via libera a compiere l’esperimento era stato firmato dall’allora ministro della Sanità, Rosy Bindi. Un’autorizzazione speciale, per motivi eccezionali legati alla sopravvivenza di Katrak, per permettere ai dottori di procedere, dato che in Italia (e a distanza di vent’anni) ancora non esiste una legge in materia.
MAXISCHERMO
In quell’occasione, l’intervento era stato proiettato all’esterno della sala operatoria su un maxischermo, per permettere ai chirurghi presenti a Padova e arrivati da tutta Italia di seguirlo. L’intervento era tecnicamente riuscito. Oggi il successo si è replicato. In questo caso, per la donazione, si erano resi disponibili sia la mamma sia il papà del piccolo malato. Si è scelto il secondo, poiché la mamma ha un secondo bambino da seguire. All’uomo è stato esportato il lobo sinistro del fegato, anche stavolta dopo la firma del ministro della Salute. Il bimbo adesso è salvo e con “in corpo” un 25 per cento del suo papà. Padova all’avanguardia, ma l’Italia non è affatto in cima all’elenco dei Paesi più avanzati in tema di trapianti di fegato fra persone viventi. La casistica, infatti, registra migliaia di casi negli Stati Uniti, in Giappone, in Belgio e in Germania: ad Amburgo la migliore scuola d’Europa.