Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2018
Perché nuove elezioni riconsegnerebbero una situazione di stallo
Ha senso tornare in tempi brevi a votare con lo stesso sistema elettorale ? È una domanda da farsi visto che il ritorno anticipato alle urne diventa sempre più probabile ogni giorno che passa senza una soluzione allo stallo in cui siamo finiti.
Salvini ne ha parlato di nuovo recentemente in questi termini «o si va avanti e si lavora o tanto vale tornare dagli italiani con un voto chiaro a dire “facciam da soli”». La speranza del leader della Lega in caso di nuove elezioni è che gli italiani diano al centro-destra quella maggioranza assoluta di seggi che il 4 marzo gli è stata negata. È realistico?
Prima delle elezioni l’opinione corrente era che sarebbe bastato il 40% dei voti perché una forza politica potesse ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Salvini e altri forse lo pensano ancora. In fondo il centro-destra il 4 marzo è arrivato al 37%. Un altro piccolo sforzo e sarebbe fatta. Ma non è così. È più complicato. Con il 37% dei voti alla Camera il centro-destra ha ottenuto il 42,1 % dei seggi totali. Da qui al 50% più uno ce ne corre. Se non cambia la distribuzione delle preferenze partitiche degli italiani non basta ottenere un 3% di voti in più per arrivare alla meta. La formula per riuscirci resta la stessa di quando ne abbiamo parlato tempo fa sulle pagine di questo giornale: occorre mettere insieme il 40% dei seggi proporzionali e il 70% dei seggi maggioritari oppure il 45% dei primi e il 60% dei secondi. E anche così si arriverebbe a maggioranze risicate: 322 seggi nel primo caso e 318 nel secondo. Solo con la formula 45-65 si otterrebbe una maggioranza più solida.
Alla luce del risultato delle ultime elezioni a quali condizioni questo potrebbe succedere? Rispetto al 4 marzo il centro-destra dovrebbe vincere molti seggi in più nei collegi uninominali del Sud strappandoli al M5s. La tabella in pagine spiega il punto. Questo schieramento ha vinto alla Camera il 47,8% dei seggi maggioritari. Una percentuale molto lontana da quelle necessarie per arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi totali. Questo 47,8% è il risultato di rendimenti diversi in diverse zone del paese. Nei collegi del Nord ha vinto 79 seggi su 91 (l’86,8%). Nella ex-zona rossa ne ha vinti 19 su 40 (il 47,5%). Ma nel Sud ne ha conquistati solo 13 (il 12,9%) contro gli 84 del M5s (83,2%).
La conclusione è quella già detta. Solo se gli elettori meridionali si spostassero decisamente verso il centro-destra il ritorno alle urne darebbe un risultato diverso da quello del 4 marzo. Naturalmente lo stesso potrebbe accadere se le preferenze degli elettori del Nord cambiassero a favore del M5s. Ci sono buone ragioni per credere che questo evento sia meno probabile dell’altro. Per questo il centro-destra resta lo schieramento con qualche probabilità in più di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. Soprattutto al Senato. Ma le probabilità sarebbero comunque poche se il ritorno alle urne avvenisse in tempi brevi. Le preferenze partitiche cambiano ma dovrebbero cambiare radicalmente per produrre il risultato che Salvini auspica. Nei collegi uninominali del Sud il 4 marzo il distacco medio tra i voti ai candidati vincenti del M5s e quelli ai candidati di centro-destra è stato di 15,5 punti percentuali. Uno scarto difficile da colmare anche in tempi di grande volatilità elettorale.
Detto ciò, non si può però escludere in maniera netta che il centro-destra riesca a ottenere la maggioranza assoluta. Potrebbe succedere se la crescita dei suoi voti oltre il 40% si combinasse con la conquista di più seggi uninominali nelle regioni della ex-zona rossa e soprattutto al Sud grazie al calo dei consensi al Pd e al M5s. I dati di questi ultimi giorni parlano di una Lega in crescita. Ma non basta che salga il partito di Salvini occorre che cresca tutto il centro-destra per cambiare il risultato. E questo non sembra essere il caso. Per ora.
E allora, vale la pena di correre il rischio di un nuovo stallo dopo nuove elezioni? In Spagna tra il 2015 e il 2016 si è votato due volte. Il risultato è stato più o meno lo stesso e dopo la seconda votazione si è fatto il governo. Lì è successo che il maggior partito di opposizione ha consentito la nascita di un governo senza maggioranza guidato dal partito che aveva preso più voti. Così è nato il governo Rajoy. Il resto lo ha fatto il meccanismo della sfiducia costruttiva che noi non abbiamo. In parole chiare, ammesso che il centro-destra risulti di nuovo come il 4 marzo lo schieramento con più voti, Pd e/o M5s sarebbero disposti a far decollare un governo Salvini o chi per lui? Chissà. A noi sembra cosa molto complicata e poco probabile. Per questo c’è da chiedersi – a malincuore – se la soluzione meno peggio non sia un nuovo sistema elettorale che metta nelle mani degli italiani la scelta del governo, visto che i partiti non riescono a mettersi d’accordo. Non un sistema qualunque però, ma uno che consenta agli elettori di esprimere non solo le loro prime preferenze ma anche le seconde.