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 2018  aprile 18 Mercoledì calendario

L’amaca

Se i tigì fossero in bianco e nero, si percepirebbe con maggiore evidenza che siamo tornati nel pieno della Prima Repubblica: proporzionale, trattative tra i partiti, gente che entra ed esce dalle stanze romane alla ricerca di una formula abbastanza vaga da non urtare nessuno, ma abbastanza stramba da strappare almeno un titoletto di giornale (le convergenze parallele rimangono, da questo punto di vista, un capolavoro irripetibile), i cronisti che per avere qualcosa da mettere in pagina si aggrappano a qualunque increspatura della voce dei portavoce, e l’intoccato bicameralismo perfetto a fare da quinta inamovibile, come la mobilia delle vecchie zie in certe case impermeabili allo scorrere del tempo.
Ma allora, se siamo di nuovo nella Prima Repubblica, la Seconda che fine ha fatto? C’è stata davvero? È stata solo un breve interludio tra Andreotti e Di Maio, giusto il tempo perché si riformasse un bel partitone interclassista che tratta destra e sinistra da accessori? Ai costituzionalisti il compito di spiegare e definire; a noi rimane quella sensazione di falso cambiamento che è un poco il leitmotiv della storia repubblicana. A parte la legalizzazione di divorzio, aborto e unioni civili, riforme storiche ma riguardanti la sfera personale, si fatica a individuare qualche radicale, lampante momento di vera riforma strutturale del sistema politico. Possiamo dedurne che gli italiani sono in grado di riformare (ogni tanto e senza fretta) se stessi, mai l’Italia.