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 2018  aprile 18 Mercoledì calendario

I segreti del giovane presidente che vuole parlare con tutti

PARIGI Il Presidente della Rivoluzione e in realtà un conservatore.
Almeno in politica estera.
Emmanuel Macron si è fatto eleggere un anno fa con un programma che prometteva stravolgimenti ma sul piano internazionale è un ritorno al futuro. «Abbiamo ripreso i fondamentali della diplomazia francese. In quanto gollista, lo dico con una certa soddisfazione». Nella palazzina del diciassettesimo arrondissement, tra una collezione di maschere africane e i magnifici orizzonti cupi di Anselm Kiefer, l’ex premier Dominique de Villepin commenta il primo anniversario del giovane leader. Macron ha capito che i francesi amano specchiarsi nell’immagine che il mondo riflette del loro Paese. E così ha provocato quello che Villepin chiama uno «shock di fierezza». Il ricevimento di Vladimir Putin a Versailles, l’invito di Donald Trump alla parata sui Campi Elisi, i viaggi in India e Cina, la fotografia nel bunker dell’Eliseo mentre ordina l’attacco in Siria, fino all’attivismo nel disastrato contesto europeo, dal discorso sotto al Partenone a quello di ieri nell’emiciclo di Strasburgo. Ogni mossa è studiata nei minimi dettagli. Secondo Villepin non ci sono dubbi: «Macron è il nuovo volto della Grandeur». Nel gergo macronista l’espressione più di moda è “France is back”. Da tempo Parigi non si sentiva di nuovo al centro dei giochi, con un leader brillante, poliglotta, vezzeggiato da cancellerie e media internazionali. «La geopolitica, come la natura, ha orrore del vuoto» osserva Dominique Moïsi, tra i fondatori dell’Institut français de relations internationales.
Macron ha saputo inserirsi nel posto lasciato vacante dall’America di Donald Trump.
«Vuole presentarsi come il nuovo eroe del multilateralismo e delle democrazie liberali».
Seduzione, charme, empatia.
Sono alcuni degli strumenti della diplomazia secondo Macron. «Con lui le relazioni internazionali sono improntate a rapporti personali» osserva Moïsi. Uno dei casi più emblematici è l’amicizia con l’imprevedibile Donald. Il telefono di Macron è diventato per l’attuale amministrazione Usa quel famoso numero che Kissinger cercava invano. «Può parlare a nome dell’Europa – osserva Moïsi – perché il Regno Unito è marginalizzato dal Brexit e Angela Merkel è indebolita dagli accordi di coalizione». L’alleanza transatlantica sarà celebrata la settimana prossima, quando il presidente francese sbarcherà a Washington. Macron rappresenta una discontinuità rispetto ai predecessori.
Approva il rifiuto francese di fare la guerra in Iraq nel 2003 e critica l’intervento in Libia del 2011. «È finita l’adesione alla corrente della diplomazia neo-con che c’era stata sia con Nicolas Sarkozy che con François Hollande» dice l’ex ministro degli Esteri Hubert Védrine. Da Washington a Mosca, da Gerusalemme a Teheran e Pechino: la priorità dell’Eliseo è “parlare con tutti”.
Macron è un realista. «È l’irrealismo che conduce alle catastrofi» chiosa Védrine. «Un idealista pragmatico» puntualizza Moïsi, secondo cui Macron ha ancora la “geografia dei valori” che impedisce a un leader occidentale di mettere però sullo stesso piano Trump e Putin. «Da una parte c’è una democrazia che va male, dall’altra un regime autoritario che pare in salute ma ha debolezze strutturali». Trump resta un alleato di difficile gestione. Macron l’ha capito quando si è vantato di aver convinto il presidente americano a mantenere l’impegno militare in Siria, salvo essere smentito qualche ora dopo dalla Casa Bianca.
Villepin è categorico: «Non dobbiamo abbandonarci a quest’alleanza con gli Stati Uniti piena di incognite e pericoli». L’ex premier spinge per rafforzare la relazione con Pechino, normalizzare quella con Mosca. «In una comunità internazionale sempre più disorganizzata, bisogna puntare anche sulle medie potenze, mantenendo un dialogo forte con l’Italia, la Spagna, e fuori dall’Europa con Paesi emergenti come Messico, Indonesia».
Un anno dopo l’elezione, nessuno mette in dubbio il nuovo protagonismo francese.
«È stata una sorpresa – osserva Moïsi – perché molti temevano che fosse preparato soprattutto sul piano dell’economia». Più difficile individuare dei veri successi diplomatici o una dottrina coerente. Moisi nota: «Macron finora reagisce agli eventi, piuttosto che prendere l’iniziativa». Villepin riconosce un «talento incontestabile per trasformare in forza le situazioni di debolezza». «Ma in politica estera – aggiunge l’ex premier – non basta fare discorsi, viaggi, incontri. A un certo punto, bisogna segnare dei punti». Il colpo diplomatico più spettacolare è stata la “liberazione” di Saad Hariri nell’autunno scorso, senza però riuscire a costruire una stabilità per il Libano.
Sull’Europa, Macron ha ottenuto poco o niente, anche se non poteva certo immaginare le complicazioni politiche in Germania, l’ingovernabilità in Italia.
L’attacco di qualche giorno fa in Siria con americani e britannici non ha risolto nulla.
«Macron pensa che a un certo punto i russi avranno bisogno di un partner occidentale» commenta Védrine. «È arrivato troppo tardi, la situazione è compromessa».
Con il nuovo Presidente, la Francia si sta ritagliando un ruolo da intermediario, si presenta come facilitatore negli scenari di crisi, in pura continuità con il generale De Gaulle che amava dire agli leader: «Sono l’amico dei giorni peggiori. Se siete in difficoltà, chiamatemi». L’epoca è cambiata. Villepin sottolinea l’assenza di contrappesi come durante la Guerra Fredda.
L’attivismo e lo charme di Macron hanno riportato in auge la Grandeur. È presto per dire quanto grande sarà veramente in un mondo sempre più imprevedibile.

(1 – continua)