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 2018  aprile 17 Martedì calendario

La blockchain si allarga alle filiere industriali

In Inghilterra sta nascendo una banca che non è una banca. O meglio una banca che permette a «ciascuno di essere una banca»: ogni singolo potrà prestare, prendere a prestito o fare raccolta di fondi dalla piattaforma di Babb. Con tanto di una carta di pagamento decentrata in criptovaluta. Come? Grazie alla blockchain, che garantisce l’identità di ciascuno e l’effettività delle transazioni. Babb (Bank account based blockchain) sta anche trattando con la Bank of England per ottenere una licenza bancaria, in arrivo forse già per fine anno. D’altra parte la stessa Banca centrale inglese potrebbe diventare partner della piattaforma, figurando tra i 29 istituti centrali che stanno lavorando attorno a progetti legati alle criptovalute.
Il comparto finanziario è senza dubbio quello che più scommette sull’innovazione tecnologica della blockchain, la “catena dei blocchi” che è alla base di bitcoin e delle altre criptovalute. A oggi sono quasi 200 (+57%) i progetti attivati in ambito finanziario, sul totale di 331 (di cui 172 operativi) mappati dall’Osservatorio Blockchain & Distributed ledger del Politecnico di Milano che sarà presentato oggi. Ma intanto crescono a ritmi ben maggiori altri ambiti che si stanno avvicinando alla tecnologia, a partire dai progetti governativi per la gestione della Pubblica amministrazione (30 casi, +325% sul 2016) e nella logistica (24 casi tra cui la soluzione globale di Maersk per la tracciabilità end-to-end, +600%), seguite a distanza da utilities e logistica.
Oggi si parla in continuazione di blockchain, a volte anche a sproposito, come se fosse la panacea di tutti i mali, ma – se si esclude bitcoin e il mondo delle criptovalute – gli investimenti faticano ancora a mettere a terra soluzioni adeguate: «A livello globale lo sviluppo della blockchain è frenato dalla mancanza di un business case certo che dimostri che vi siano benefici tangibili dall’utilizzo di questa tecnologia e uno standard unico e definito – spiega Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain -. Si intuiscono le enormi potenzialità, ma bisogna individuare un protocollo unico che garantisca l’efficacia e l’interoperabilità delle soluzioni e gli ambiti applicativi più corretti». A frenare lo sviluppo contribuisce anche la scarsa chiarezza in ambito regolatorio che non fornisce al business un quadro sufficientemente chiaro per gli investimenti.
L’Italia fatica ancora di più a cavalcare una tecnologia ancora piuttosto immatura: «Il mercato italiano non ha ancora saputo cogliere la sfida di innovazione connessa alla blockchain: da una parte c’è una difficoltà ad affrontare una tecnologia molto complessa, dall’altra c’è una indubbia carenza culturale delle imprese. Anche se la blockchain potrà avere un impatto notevole per il made in Italy in termini di tracciabilità e di anticontraffazione».
Anche in Italia è il comparto finanziario a fare da apripista. Ma Moody’s mette in guardia: le banche italiane sono tra gli istituti che potrebbero risentire maggiormente dell’impatto della blockchain sui ricavi da commissioni. L’agenzia di rating spiega che la tecnologia ha il potenziale di ridurre in modo rilevante costi, tempi e rischi delle transazioni bancarie cross-border, aumentando l’efficienza degli istituti, ma al tempo stesso mette sotto pressione le loro entrate da commissioni. Le più esposte sono le banche svizzere, che dipendono dalle commissioni per il 50% delle loro entrate.
È?un dato di fatto, però, che l’Italia non figura tra i 22 paesi che hanno dato vita alla “European Blockchain Alliance” lanciata pochi giorni fa da Bruxelles per lo sviluppo congiunto di soluzioni basate su blockchain. «In Italia – prosegue Portale – abbiamo una solida comunità di sviluppatori su blockchain, ma si tratta di un ambito che non riesce ancora a dialogare in maniera costruttiva ed effettiva con il mondo del business. Bisogna rendersi conto che l’evoluzione sarà rapida e che se si rimane troppo fermi diventa poi difficile, se non impossibile, colmare il gap, a livello di competenze e di preparazione».