Il Messaggero, 17 aprile 2018
Perché non si può ridurre un classico
Il classico è un libro che ha sempre qualcosa da dire ad ogni generazione, ma sembra che la nostra epoca voglia costringerlo a parlare brevemente e velocemente come un post su Twitter. Prima si adattavano i classici nelle edizioni per ragazzi, ora assistiamo a una regressione degli adulti col bisogno di abbreviare i percorsi di lettura per mancanza di tempo e di attenzione. Così la casa editrice inglese Orion rilancia la politica di riduzione dei classici nelle sue compact editions corredate di illustrazioni. Dopo l’Ottocento, con Moby Dick, Anna Karenina, Il falò delle vanità, tocca ai classici del Novecento.
Il mondo della letteratura si accorge del pericolo della frammentazione. Jonathan Franzen denuncia il conformismo dei social e il Premio Nobel Mario Vargas Llosa polemizza contro le Nuove inquisizioni del politicamente corretto, del femminismo che inveisce contro gli scrittori misogini e reitera le accuse di pedofilia incestuosa al Lolita di Nabokov. Lo scrittore Nicola Lagioia, direttore del Salone internazionale del libro di Torino, aderisce alla protesta: «Scandalizzarsi delle scene di sesso di Lolita non ha senso. Allora eliminiamo l’incesto dall’orizzonte della vita e della psiche umana? Un classico deve mettere in crisi il lettore, sorprendere con tutta la tavolozza dei sentimenti e delle passioni, anche le più inconfessate. Per questo Shakespeare è ancora oggi così attuale». Le riduzioni sono «operazioni fallimentari, trovate dei manager editoriali che vengono dal mondo del marketing e devono escogitare qualche strategia cool per mostrare una competenza che invece non hanno. L’editoria, anche quando corre sul nastro industriale, è alto artigianato!».
LO STORICO
Alessandro Barbero, scrittore e storico capace di alta divulgazione, documenta le sue riserve: «La scuola non è stata capace di rendere colta la massa, di non far godere solo le élites dei linguaggi della cultura. In risposta a questo fallimento non possiamo accettare che l’alternativa sia massificare il prodotto. Se questo è il trend, allora ben vengano Paperin Furioso e Paperin Fracassa!». Giovanni Solimine, presidente della Fondazione Bellonci, esperto delle dinamiche di fruizione del libro, ritiene indispensabile che ci sia «qualcuno che si prenda la responsabilità di selezionare i brani e garantisca l’organicità dell’operazione. Altrimenti incombe il rischio della banalizzazione, di interrompere il filo narrativo. Non è facile dire che quella pagina è inutile, la storia stia languendo. Occorre abituarsi al fatto che la semplificazione è una cifra della nostra epoca. La scuola non ha saputo resistere a questa deriva. Ma leggere un classico rimane una tappa obbligata nel canone negli anni della maturazione». Ludina Barzini ha diretto per anni la Selezione dal Reader’s Digest e ricorda che «non si trattava di riduzioni, di sintesi, ma di condensazioni, di editing attraverso il testo. Tagliando dei blocchi, elaborando dei ponti, delle legature, togliendo le digressioni che piacciono tanto agli scrittori. Condensare vuol dire raccontare una storia. Per questo non lo si può fare con l’Ulisse di Joyce, ma esiste la Bibbia condensata. Si tratta di sostituire una narrazione con una narrazione. E assicuro che, a volte, gli stessi scrittori non riescono a vedere dove hai tagliato».
Gian Arturo Ferrari, presidente di Rizzoli libri e consulente di Mondadori, integra con acutezza management editoriale e psicologia della lettura: «Si tratta di artifici che hanno senso se il mercato dei lettori si espande, in una fase di allargamento dei bacini di lettura. In paragone ad altri media (periodici, giornali), il mercato dei libri ha resistito all’ondata di Internet, il consumo è rimasto stabile in tutto il mondo. Però consolidandosi il mercato si è chiuso. Una riduzione non diminuisce la fatica della lettura, tutt’al più la assimila a quella dei consumatori seriali delle serie sentimentali di Harmony, dove la cosa importante è far fuori uno, due libri a settimana. Ma il lettore vero ha già una volontà interiore che supera la difficoltà della lunghezza. E poi, tranne in rari casi come il Decamerone del Boccaccio, non serve grandissima competenza specialistica per leggere Il grande Gatsby o Italo Calvino».
Proprio sul Decamerone interviene Federica Magro, direttrice della storica collana BUR, che da sempre diffonde classici a basso prezzo e a breve festeggerà i suoi 70 anni. Di recente ha promosso ben due edizioni del capolavoro di Boccaccio, entrambe con successo di vendita. Si tratta del Decamerone riscritto in italiano contemporaneo da Aldo Busi e della edizione critica monumentale di Amedeo Qundam, che ha totalmente sostituito quella di Vittorio Branca, vecchia di 50 anni. Ci parla dalla Fiera del libro per ragazzi di Bologna affollata di classici ridotti e pieni di pop-up.
IL COPYRIGHT
Con la sua formazione da filologa romanza ci spiazza ricordando che «nel Medioevo il copyright non esisteva e che la riscrittura dei testi era all’ordine del giorno, con aggiunte, interpolazioni, di lingua in lingua, di paese in paese ed era proprio questa riscrittura continua in molte edizioni a decretare lo status di classico. Riscrivere o ridurre un classico può essere utile per agganciare anche un solo lettore. Piutost che nient l’è mei piutost. Soprattutto in Italia dove la cultura è sempre stata considerata come un fatto elitario».
Non sappiamo se queste argomentazioni risulteranno convincenti per il decano degli scrittori italiani Raffaele La Capria, che alla domanda «Sarebbe disposto ad una riduzione del suo capolavoro Ferito a morte?», ci risponde lapidario: «Nemmeno per sogno!».