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 2018  aprile 17 Martedì calendario

Roma, Atac in bilico il governo a Raggi: «Contratto a rischio»

ROMA Scendete alla prossima: il servizio di trasporto pubblico della Capitale è a rischio revoca. Nelle pieghe di un burocratico carteggio tra la Motorizzazione di Roma (braccio locale del ministero dei Trasporti) e il Campidoglio a trazione M5S spunta l’ennesima grana per Atac. La municipalizzata più grande d’Italia, che già balla sul baratro del fallimento con un concordato preventivo da 1,3 miliardi di euro che deve essere accettato dal tribunale, adesso si trova davanti a un aut aut. 
Ovvero: l’azienda ha tempo fino al 30 maggio per tornare a essere iscritta nel Registro elettronico nazionale (Ren). L’atto è già scaduto da sei mesi. Ora ce ne sono altri due scarsi. Nel frattempo, come atto dovuto, sono già iniziate le procedure di revoca della concessione del servizio di trasporto pubblico. Come nasce questo problema? Per ottenere l’iscrizione al Registro servono delle garanzie finanziarie che al momento non si trovano nella pancia di Atac. In alternativa, il Campidoglio, per conto della sua controllata, dovrebbe presentare una fideiussione bancaria da 10 milioni di euro. Finora, però, il giro presso le banche non ha prodotto alcun tipo di risposta. Proprio perché si parla di Atac, società dai conti rossi che più rossi non si può, per la quale nessuno se la sente di fare da garante. E così è nato il problema che alla fine ieri pomeriggio, complice un lancio dell’agenzia Dire, è esploso. Uscendo dai binari della burocrazia per arrivare fino a Via Nomentana, sede del ministero dei Trasporti. La linea di Graziano Delrio, titolare uscente del dicastero, non è quella dello scontro, vista anche la delicatezza del momento e le possibili ricadute concrete sulla Capitale.
Allo stesso tempo l’esponente dem sottolinea come la pratica fosse «nota da tempo al Comune» e che dunque Virginia Raggi non può essere parte passiva della vicenda ma propositiva». In poche parole: il Comune doveva muoversi prima, invece di arrivare a questa situazione. Che rimane molto complessa e dunque i toni sono bassi e votati alla ricerca di un accordo per uscire dal tunnel. Stessa linea del Campidoglio che, non a caso, minimizza. E si limita a dire che «l’ufficio della Motorizzazione ha soltanto riconosciuto ad Atac un termine di 60 giorni entro cui presentare memorie o documenti per riscontrare la propria idoneità finanziaria all’esercizio del trasporto pubblico». Si tratta, è la linea soft che esce dalle stanze della sindaca Raggi, «di un adempimento previsto dalla legge al quale l’azienda sta ottemperando, d’intesa con Roma Capitale». L’unica via di uscita, nel caso in cui non si trovasse una banca disposta a firmare una fideiussione, porta al tribunale. Con il via libera al concordato preventivo il patrimonio di Atac tornerà in attivo e l’iscrizione al Registro sarebbe automatica. Fino a quel momento servono gli istituti di credito. Ma se non dovessero esserci e se soprattutto la procedura fallimentare finisse nel peggiore dei modi, allora il banco salterebbe. Forza Italia, con il consigliere regionale Antonello Aurigemma, è pronta a rivolgersi al prefetto Paola Basilone perché «il servizio pubblico della Capitale è a repentaglio». Il Pd coglie l’occasione per andare allo scontro. E con il capogruppo in Campidoglio Giulio Pelonzi chiede «che la sindaca e l’assessore Meleo riferiscano in Aula domani (oggi, ndr)». La dem Ilaria Piccolo, sostiene, che questa faccenda «mostra ancora una volta i pasticci, l’inadeguatezza e il pressappochismo che caratterizzano l’amministrazione Raggi». La polemica apre un fronte già scavato, quello di Atac, appunto. Nemmeno i radicali, promotori del referendum del 3 giugno sul futuro del trasporto locale a Roma, stanno a guardare. Il deputato Riccardo Magi dice che tutta questa «cagnara» serve a coprire la corretta informazione che il Comune dovrebbe dare ai romani sulla consultazione referendaria. Dal Campidoglio giocano una doppia strategia. Da una parte gettano acqua sul fuoco e spiegano: «Il servizio non è a rischio, i bus continueranno a correre normalmente» (affermazione che si presta a ironia). Dall’altra, i grillini sottolineano tra le righe che di fatto la cancellazione dell’iscrizione al Ren è un motivo in più per fare in modo che il concordato vada in porto e il Tribunale dia il via libera. Rimangono i fatti: la Motorizzazione ha attivato le procedure di revoca del servizio, il Comune è alla ricerca di una sponda tra le banche che non si fidano, Atac continua a correre verso l’ignoto. Come possono confermare romani e turisti.
Simone Canettieri
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Fideiussione, no delle banche ora la palla passa al Comune 
ROMA Nessuna banca si fida dell’Atac. In sei mesi la più grande partecipata dei trasporti pubblici del Paese, quasi 12 mila dipendenti e un debito ciclopico di 1,3 miliardi, non è riuscita a trovare un-istituto-uno che accettasse di sottoscrivere una fideiussione da circa 10 milioni di euro, fondamentale per assicurare il servizio di bus e metro nella Capitale. La società del Campidoglio ha un bisogno disperato di una garanzia esterna, pena la cancellazione dal registro delle imprese e quindi il ritiro della concessione, perché da fine settembre si ritrova con un «patrimonio netto negativo». Lo ha certificato l’ultimo bilancio approvato dal cda e avallato dalla giunta guidata da Virginia Raggi. Nel consuntivo del 2016, la municipalizzata ha dichiarato perdite per 212,7 milioni di euro, dovute principalmente alla scelta della giunta grillina di non riconoscere 157,4 milioni di crediti vantati nei confronti del Comune, «nonostante li avesse già riconosciuti negli esercizi precedenti», come hanno scritto i vertici dell’azienda. Il patrimonio netto, quindi, da positivo è diventato negativo. Così l’azienda ha potuto chiedere il concordato preventivo al Tribunale fallimentare. «È la scelta giusta per risanare l’Atac», ha detto e ripetuto in questi mesi Virginia Raggi.
In realtà la strada verso il salvataggio è un percorso ispido e stretto. Intanto perché proprio da quando il patrimonio è diventato negativo, l’Atac ha dovuto comunicare alla Motorizzazione civile, che fa capo al Ministero dei Trasporti, che non ha più i requisiti finanziari per essere iscritta al registro elettronico nazionale delle imprese. Un’alternativa c’è: una fideiussione. Il 29 settembre scorso la Motorizzazione, come prevede la legge, ha concesso all’azienda del Comune sei mesi di tempo per trovare una banca o una compagnia assicurativa disponibile. Risultato, a fine marzo il gigante malato dei trasporti romani ha ammesso che l’indagine di mercato è andata deserta. Insomma, nessun istituto ha voluto dare garanzie. 
A quel punto, per rispettare i paletti piuttosto stringenti sia della legge nazionale che dell’Unione europea, la Motorizzazione ha avviato formalmente la procedura di revoca della concessione per svolgere il servizio di trasporto pubblico a Roma. All’azienda del Campidoglio sono stati concessi, però, altri 60 giorni per giocarsi le ultime fiche. La data da cerchiare di rosso sul calendario, quindi, è il 30 maggio. Il d-day dei trasporti romani, perché è la stessa scadenza fissata dal Tribunale fallimentare per cambiare il piano industriale, considerato che la prima versione, consegnata a gennaio, è stata giudicata dai magistrati imprecisa e carente, tanto da far emergere «profili di inammissibilità», cioè a rischio bocciatura.
PIANO BNel quartier generale di Via Prenestina, così come nel Campidoglio pentastellato, sono convinti di avere ancora qualche carta da giocare. E che la partita possa chiudersi positivamente. Certo toccherà ricorrere a qualche espediente nuovo, per ribaltare il risultato e fermare il processo di revoca.
L’ipotesi di cui si sta discutendo in queste ore di vertici concitati a Palazzo Senatorio è quella di una sorta di garanzia temporanea firmata dal Comune o magari delle Assicurazioni di Roma, la mutua di proprietà del Campidoglio. Ipotesi di cui va ancora valutata la percorribilità tecnica e che in ogni caso andrà contrattata con i tecnici del Ministero, che nel frattempo, per tutelarsi, hanno contattato l’Avvocatura dello Stato per capire su quali margini di discrezionalità possano contare. 
Sarebbe una toppa per prendere tempo, sperando che il Tribunale avalli il concordato e che lo faccia il prima possibile. Perché con l’«omologa», cioè il via libera al piano di salvataggio, il patrimonio netto tornerebbe positivo. Certo, vanno prima convinti i commissari indicati dal Tribunale. Soprattutto, va ridisegnato il piano per traghettare il colosso della mobilità romana fuori dalla palude degli sprechi, dei bus guasti perché senza ricambi, dell’assenteismo record. È una doppia partita, finanziaria e strategica, dove il M5S di Roma si gioca la faccia.
Lorenzo De Cicco