la Repubblica, 17 aprile 2018
L’amaca
Si deve probabilmente al caso, o forse alla malizia di un paparazzo ostile, il fatto che lo scrittore Mauro Corona appaia in quasi tutte le fotografie scattate domenica a Vinitaly, tra politici di ogni risma e alla presenza delle autorità tutte (inspiegabile l’assenza di almeno un cardinale e di un generale dell’Arma: magari presenti, ma non inquadrati).
Con il bicchiere in mano, e il sorriso amabile di chi l’ha appena riempito già diverse volte, Corona, benché vestito alla sua maniera (è il principale esponente dello stile sbracciato-rupestre), sembrava in quel consesso così mondano perfettamente a proprio agio. Io mi ero fatto del personaggio, per mia superficialità, un’idea molto appartata, e devo dire piuttosto ammirata. Intento a intagliare larici, distinguere la traccia della martora da quella della faina, scrivere libri in solitaria sospensione dalle tentazioni del mondo.
Solo di rado (al massimo una volta alla settimana) in uno studio televisivo, a sacramentare (giusto! giusto!) contro la politica inetta e compromessa. Ma subito dopo via, di nuovo nei boschi e tra i muschi. Eccolo invece, oserei dire a tradimento, nel mezzo dell’Italia che conta e leva il calice a se stessa.
Chi l’avrebbe mai detto che, oltre a quelle della martora, Corona sapesse seguire con tanta maestria anche le tracce di Salvini. Mi sa che, per consolarci, ci toccherà rileggere Rigoni Stern.