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 2018  aprile 15 Domenica calendario

Vide Oman quant’è bello s’è messo pure all’Opera

L’esangue Violetta della Traviata non fa mistero, sulla scena, di esercitare il mestiere più vecchio del mondo. Il rude Canio nei Pagliacci reagisce da belva ferita alla scoperta del tradimento di sua moglie e finirà per ammazzarla. Il Duca di Mantova in Rigoletto è uno sporcaccione compulsivo che non esita a insidiare fanciulle vergini. Non sono circostanze troppo invereconde per il mondo arabo e musulmano?

Eppure l’impeto canoro e musicale assolve i vizi consumati nelle trame dei più popolari melodrammi d’Occidente proposti a Muscat, capitale dell’Oman, all’interno della Royal Opera House, iperbolica torta nuziale di pietra candida che s’erge nella mappa linda di autostrade senza marciapiedi ( rischiosa la vita dei pedoni) equivalente alla topografia della città. Pieno di torrette, colonnati e archi, il teatro è un trionfo architettonico di otto piani con superfici di ventiseimila metri quadri (più sessantamila di spazi all’aperto) che agli orientalismi pseudo-antichi intreccia futuribili tecnologie di palcoscenico e di resa acustica. Nella sala lignea e rossa da mille e cento posti, con palchi e barcacce splendenti, spicca un organo di quattromilaottocento canne, e i foyer sfoggiano marmi di Carrara e legni intarsiati da ricami minuziosi.
Come la Grande Moschea, altro esempio di architettura islamica moderna che riflette la rinascita cittadina avvenuta in anni recenti, il teatro è stato un’iniziativa del sultano Qabus bin Said Al Said, monarca adorato nel Paese (“my sultan, my hero”, lo definisce ogni omanita) e noto come un patito di musica classica occidentale, assimilata durante i suoi studi giovanili in Inghilterra. Tra l’altro Sua Maestà è un fan entusiasta di Mozart. Ma nonostante la fiducia tributatagli dai sudditi, è arduo capire in che modo potrà essere vissuta a Muscat un’opera mozartiana come Così fan tutte, col suo inno illuminista all’infedeltà nella coppia. Tuttavia il direttore del teatro, l’italiano Umberto Fanni, riferisce che quel titolo sarà fra quelli presentati dall’Opera House, insieme a Traviata e all’Italiana in Algeri: «Importante è la necessità di rimanere nell’ambito dei dettami religiosi», spiega Fanni, musicista che ha avuto esperienze di programmatore in istituzioni quali l’Arena di Verona. «Perciò ci sarà soltanto acqua nei calici di champagne per il brindisi di Traviata. E le minigonne delle prostitute dei Pagliacci, appena giunta qui in tournée col Teatro dell’Opera di Roma e la regia storica di Zeffirelli, hanno subìto interventi di allungamento. Ma sono state le uniche modifiche e lo spettacolo ha riscosso un enorme successo». È vero che è stato trionfale l’esito della visita in Oman dell’Opera di Roma, con l’orchestra diretta da Paolo Olmi, un protagonista del livello di José Cura e una platea inclusiva di donne velate e signore con abiti stretti e décolleté. Si ha l’impressione che grazie a questo primo teatro della Penisola Arabica, motore di un effetto a catena nei Paesi del Golfo (dall’Opera di Dubai, inaugurata nel 2016, fino al progetto di un mega-teatro a Gedda pronto nel 2021), la musica mostri di approdare in zone inavvicinabili dalla politica e dal costume.
Non a caso per


dall’Oman, è stato richiesto l’allestimento di Zeffirelli, artista prediletto dal sultano d’indole malinconica (così si favoleggia) e solitaria ( Qabus non ha moglie né figli, e il problema della successione è complicato). Tale è la sua passione per la musica che dispone di una sua Royal Symphony Orchestra che si esibisce a corte. Già per l’apertura dell’Opera House, nel 2011, Qabus volle Zeffirelli e la sua
Turandot, il cui sfarzo è in linea con quello di un edificio da Mille e una notte
oggi divenuto molto dinamico: «Abbiamo cinquantadue eventi e centoventi alzate di sipario annuali. Moltissime, considerando che la stagione va da settembre a maggio, poiché gli oltre cinquanta gradi di caldo bloccano il lavoro negli altri mesi», segnala Fanni. «Il cartellone unisce alla lirica e al balletto dei maggiori teatri internazionali gli spettacoli di tradizione locale, e intendiamo stimolare un repertorio autoctono». Primo step in tal senso è la produzione dell’opera
Celebrating Oman,
con regia di Davide Livermore. Intanto il botteghino registra il tutto esaurito ( biglietti dai 10 ai 160 euro) e nel teatro lotta per la causa del melodramma un esercito pacifico di duecentoquaranta persone, con un 73 per cento di omaniti.
L’uso di forze locali è radicato nella “Svizzera del Golfo Arabico”, secondo l’etichetta conquistata dall’Oman per fama di tolleranza e prosperità. È stato Qabus, in quasi mezzo secolo di regno, a condurre il Paese nel “tempo della Renaissance” ( formula diffusa sui bollettini locali). Decisive le sue riforme, pur nell’ambito di un Stato che non smette di limitare le libertà di espressione e associazione, e nel quale le autorità, sostengono i rapporti annuali di Amnesty International, possono vessare o intimidire i difensori dei diritti umani. Comunque in Oman i giovani studiano gratis fino ai diciotto anni e sono centinaia gli ospedali.
La ricchezza venuta dal petrolio ha fatto abolire le tasse e ogni omanita viene al mondo col diritto a un pezzo di terra. Vaste strisce d’asfalto connettono deserti e montagne in una nazione estesa quanto l’Italia ma con soli quattro milioni e mezzo di abitanti. L’ambientalismo è d’obbligo, il crimine non esiste e la religione basata sull’ibadismo, terza via tra musulmani sciiti e i sunniti, promulga quei principi di non violenza che hanno difeso l’Oman dai fondamentalisti. In questa prospettiva la musica è una rete di comunicazione emozionale con l’intero pianeta che non ha bisogno di essere tradotta.