la Repubblica, 15 aprile 2018
L’amaca
Pare che a Mediaset si siano accorti che i talk show “gentisti” (quelli nei quali basta urlare “è colpa della casta” o “gli immigrati ci rubano le mogli” per essere portati in trionfo) hanno fatto la fortuna della Lega e penalizzato Forza Italia.
E pare che in conseguenza di questo esito abbiano deciso di chiuderli per passare a format più congegnali alla nuova veste di “capo dei moderati” che Berlusconi, vero inventore del gentismo, ha scelto come habitus più adatto alla propria senilità.
Incanaglire ad arte l’opinione pubblica più vulnerabile è dunque un’attività esecrabile non in sé – per le tracce che lascia nella società, per il sale che sparge sulle ferite sociali – ma a seconda dei suoi effetti sugli interessi di un partito. Essendo quel partito indistinguibile dall’azienda che lo ha partorito ormai ventiquattro anni fa si può anche capire che esista una stretta connessione tra i due destini. Peccato che il prezzo di quella secca regressione del discorso pubblico lo paghi non un partito o un editore, ma la società nel suo complesso. Compresi quei “politici, giornalisti e intellettuali di centrosinistra” che, come ha scritto ieri su Rep: il massmediologo Dino Amenduni, pur di partecipare a quei programmi, “hanno accettato il ruolo di comparsa” di un copione già scritto, confermando “la subalternità culturale della sinistra negli ultimi dieci-quindici anni”.