la Repubblica, 14 aprile 2018
L’amaca
Ho visto e rivisto alla moviola e da tutte le angolazioni possibili, come fosse il rigore di Madrid, il discorsetto di sette secondi con il quale Berlusconi ha distrutto gli ultimi sette mesi di lavoro del centrodestra. Capisco che i suoi trascorsi da star gli attirino ancora l’affetto del pubblico residuo e le attenzioni della critica, ma a me è venuto in mente Mister Magoo quando passa canticchiando con la sua automobiletta e fa crollare inavvertitamente il ponte di Brooklyn. Oppure, volendo essere generosi, il Peter Sellers di Hollywood Party, apparentemente incongruo, in realtà un ordigno in carne e ossa, capace ad ogni passo, con ogni gesto e ogni parola, di demolire dalle fondamenta le convenzioni sociali e non solo quelle.
Si immagina il Salvini, avvertito poco dopo di quanto appena avvenuto alle sue spalle, che impreca e maledice il destino, che lo ha voluto incatenare al viale del tramonto di un ex primattore incapace di reggere la parabola discentente. Si immagina, anche, l’imbarazzo del personale politico ancora disponibile a fargli da cerchietto magico, al Berlusca, tutti in cuor loro a masticare amaro, “Gesù che cazzata che ha detto”, ma tutti intorno a dirgli, affettuosi, pazienti, “è stato efficace e spiritoso, presidente”. Perché da qualche anno in qua essere Berlusconi è niente, quanto a coefficiente di difficoltà, in confronto a essere berlusconiano.