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 2018  aprile 16 Lunedì calendario

Fake news e un esercito di “troll”. Le armi della propaganda russa

La campagna digitale della Russia è ripresa. Secondo il Pentagono, l’attività dei trolls gestiti dal Cremlino è aumenta del 2000% dopo il raid di sabato notte in Siria, per diffondere propaganda contro l’alleanza occidentale. Sui numeri naturalmente è già polemica, perché i sostenitori di Mosca chiedono a Washington dove li ha presi. La sfida però è in corso ormai da anni, e non sorprende che prosegua in questo momento così complicato. Sabato notte, mentre spiegava i dettagli dell’operazione lanciata per punire l’uso delle armi chimiche da parte di Damasco a Douma, il segretario alla Difesa Mattis ha aggiunto un avvertimento: «Adesso dobbiamo aspettarci una significativa campagna di disinformazione». Notizie false, in sostanza, distribuite per influenzare l’opinione pubblica internazionale e orientarla contro i raid dell’alleanza occidentale. Il giorno dopo, infatti, il portavoce del Pentagono, Dana White, ha denunciato che «la campagna di disinformazione di Mosca è già cominciata. Nelle ultime 24 ore c’è stato un incremento del 2000% nell’attività dei troll russi».
Per chi non avesse idea di cosa stiamo parlando, i troll sono account falsi dei social network come Facebook o Twitter, gestiti in realtà da robot per diffondere propaganda. Trasmettono fake news, o notizie costruite ad arte per dare una rappresentazione distorta della realtà, e li inviano automaticamente a getto continuo. A San Pietroburgo esiste una struttura, la Internet Research Agency, che è stata fondata a questo scopo. Secondo i servizi di intelligence degli Stati Uniti, ha gestito le operazioni per interferire con le presidenziali americane, e tante altre elezioni avvenute nei Paesi occidentali, incluse quelle italiane del 4 marzo e il nostro referendum costituzionale del dicembre 2016. Il Pentagono ritiene che la macchina della propaganda si sia rimessa in moto dopo l’attacco di sabato sera, per diffondere notizie false sulle vittime, i danni, i motivi, le giustificazioni relative all’uso delle armi chimiche a Douma.
Appena Dana White ha denunciato un aumento del 2.000% delle attività dei troll russi, in rete si è scatenata la risposta dei difensori di Mosca. La prima domanda ovviamente riguardava la fonte di questa informazione, e come i dati erano stati raccolti e misurati. Il Pentagono non ha dato risposte ufficiali, e i critici hanno puntato il dito contro Hamilton 68, un sito legato al German Marshall Fund e all’Alliance for Securing Democracy, di cui fanno parte personaggi di entrambi i partiti come l’intellettuale neocon Bill Kristol, l’ex direttore della Cia Michael Morell, l’ex ambasciatore americano in Russia Mike McFaul, l’ex comandante della Nato Jim Stavridis, l’ex consigliere di Hillary Clinton Jake Sullivan, e l’ex segretario per la Homeland Security Mike Chertoff. Il sito di Hamilton 68 in effetti ha scritto che «dall’inizio dell’offensiva lanciata dal governo siriano e dai russi su Eastern Ghouta, gli account che monitoriamo hanno concentrato la loro attività sull’amplificazione dei talking points favorevoli al Cremlino».
I sostenitori di Mosca sostengono che l’affidabilità di Hamilton 68 è bassa, e i criteri usati per analizzare i dati non sono abbastanza rigorosi. Il Pentagono non ha confermato che questa era la sua fonte, e non ha rivisto o smentito la sua denuncia, che potrebbe venire invece da analisi condotte dai servizi di intelligence americani. La decisione di renderla pubblica, prima con l’avvertimento di Mattis, e poi con le percentuali fornite dalla sua portavoce, evidenziano però la volontà di Washington di sottolineare l’esistenza di un problema, che ormai fa parte delle dinamiche quotidiane nel rapporto con la Russia.