La Stampa, 14 aprile 2018
Piazza San Carlo.Il figlio della donna rimasta tetraplegica: Sono contento che siano stati catturati, ma mia madre è paralizzata da quella sera
«Li hanno presi? Davvero? Sono contento ma, se posso dire, a me in questo momento interessa di più come sta mia mamma. Bravi gli investigatori. Brava la Procura. Ma i nostri occhi, tutte le nostre energie, la nostra vita, è proiettata sull’aiutare mia madre».
Così alle 11 del mattino parla Donato d’Ingeo, il figlio di Marisa Amato. Lo fa con quella dolcezza che da tutti questi mesi, con sua sorella Viviana, dedica a sua madre, tetraplegica da quella notte in piazza San Carlo, quando la folla in fuga la schiacciò. Procurandole una lesione che l’ha resa invalida. «E che le impedisce tutto, anche soltanto di fare una carezza ai suoi nipotini. Sapesse quante volte me lo ha detto: “Vorrei tanto abbracciarli”». Danilo lo racconta così, di getto, mentre sfilano in tv le immagini dei ladri arrestati.
Che cosa ricorda lei di quella notte?
«Tutto, io ricordo tutto. Per noi, inteso come famiglia, da quella notte di giugno è iniziata una nuova vita, così diversa, così complicata. A tratti anche disperata. Abbiamo fatto tante cose da allora, migliaia. Abbiamo affrontato tanti problemi. Ma io e mia sorella ricordiamo tutto».
Parlate, con la mamma, delle indagini?
«A volte mia sorella le racconta che è successo questo o quello. Di ciò che fanno oppure ci dicono i nostri avvocati. Ma è molto complicato».
In che senso complicato?
«Mia mamma non guarda la televisione da quel giorno di giugno. Sono dieci mesi. Non vuole sapere nulla, non vuole vedere nulla. Le fa molto male ricordare. Le farebbe ancora più male vedere le immagini. Per questo è tutto sott’inteso».
Quanto tornerà a casa la mamma? I medici fanno previsioni?
«Speriamo presto. Le sue condizioni sono stabili. Ma ci sono ancora alcuni problemi da risolvere. I medici vogliono che quando uscirà dall’unità spinale non abbia problemi. E poi vediamo che accade».
In che senso?
«Nel senso che con la fisioterapia si spera di riuscire a ridarle un po’ di funzionalità. Sa, lei è paralizzata dal collo in giù. Qualunque guaio, anche minimo, è un problema»
Anche un raffreddore?
«Anche un male di stagione come un raffreddore, esatto. Deve essere assistita 24 ore su 24, aiutata a fare tutto. E sapesse quante persone come lei ci sono in strutture come questa».
Tutti assistiti dai famigliari?
«Non tutti. Occorre essere in tanti per stare accanto ad una persona in queste condizioni, tutti i giorni, tutto il giorno. Chi non ha questa possibilità è nei guai. Ed è per questo che abbiamo fondato una Onlus».
Per fare cosa?
«In primis per aiutare Marisa raccogliendo fondi. E poi per dare una mano alle persone tetraplegiche che hanno necessità di aiuto. Gente che non ha disponibilità economiche o che non sa cosa fare. Vede, ciò che è accaduto a mia mamma, capita più spesso di quanto ci si immagina: vedi tuo figlio uscire in motorino e poi ti dicono che non si alzerà mai più».
Per questo è nata la Onlus?
«Certo. Noi siamo in tanti, siamo uniti. Ma chi non ce la fa va aiutato. E noi ci proveremo».
Dove la trovate tutta questa energia?
«In mia mamma. Ci ha insegnato anche questo: ad aiutare chi è in difficoltà».