Il Sole 24 Ore, 14 aprile 2018
Maxi-cedola per abbattere il rapporto debito/Pil. Per Carlo Cottarelli non basta
L’entità del debito pubblico rispetto al Pil rappresenta uno degli indicatori chiave utilizzati per valutare l’Italia, sia dai mercati sia dai partner europei. Ci sono diverse proposte allo studio per ridurre il debito pubblico: le privatizzazioni, la cessione del patrimonio immobiliare e così via. Si tratta però di misure che, pur condivisibili, richiedono tempi di attuazione non brevi. Una diversa politica di collocamento del debito pubblico potrebbe invece concorrere a migliorarne più rapidamente lo stock e trarre vantaggio dall’attuale livello dei tassi di interesse, prima che comincino a risalire.
La politica delle nuove emissioni di titoli del debito pubblico può mirare, come avviene attualmente, a collocare i valori al nominale con cedola annuale e, grosso modo, corrispondente ai rendimenti correnti per durate analoghe oppure, in alternativa, potrebbe porre in asta titoli con una cedola già fissata, superiore ai rendimenti di mercato, volta a perseguire un collocamento in asta superiore al valore nominale di rimborso a scadenza. In questa seconda alternativa, per esempio, proponendo un titolo ventennale con cedola annuale al 6%, essendo il rendimento di mercato per pari durata, circa al 3%, si potrebbe incassare 150 per 100 di rimborso a maturazione. In altri termini dal punto di vista finanziario, è equivalente porre in circolazione titoli ventennali al 3% emessi alla pari, con un valore nominale uguale al rimborso a maturazione, oppure mettere sul mercato titoli di uguale valore a rimborso, ma incassando all’emissione 150 per 100 e impegnandosi però a pagare nei successivi 20 anni una cedola doppia, ma a parità di entrate, su un minor valore nominale di emissione. Ovvio, i valori indicati sono arrotondati, per comodità di dettato, e non sono matematicamente puntuali, ma indicano una buona approssimazione.
In passato lo Stato ha collocato titoli con cedole elevate che fanno sì che oggi il loro prezzo sul mercato sia significativamente al di sopra della pari e il loro rendimento implicito sia quello di mercato.
Prendiamo un paio di esempi concreti: considerando una durata decennale è possibile comprare sul mercato un Btp con scadenza 2027 e cedola 2,05% il cui prezzo è poco sopra alla pari (103,2) oppure un Btp anch’esso con scadenza 2027 ma cedola 6,5% a un prezzo di 142,62. Considerando sia il flusso cedolare sia la perdita in conto capitale entrambi i Btp hanno un rendimento di poco sotto all’1,7% che è quello richiesto in questo momento dal mercato per la durata decennale. A fronte dello stesso rimborso a scadenza con l’acquisto del secondo titolo l’acquirente paga di più oggi per avere un maggior flusso cedolare nell’arco del periodo. Si tratta di due soluzioni equivalenti dal punto di vista finanziario sia per il risparmiatore sia per l’emittente. Il calcolo matematico puntuale dice che il debitore, lo Stato, sostanzialmente pareggia il costo nelle due alternative, ma bisogna considerare altri aspetti.
Supponiamo che nei prossimi mesi l’Italia abbia necessità di emettere titoli del debito pubblico, per un ammontare di entrate di 450 miliardi di euro. Dal punto di vista del rapporto debito/Pil, è meglio dichiarare che il debito pubblico del Paese aumenta di tale cifra, collocando titoli ventennali con cedola al 3%, oppure è più vantaggioso dichiarare che, a parità di altre condizioni, il debito aumenta solo di 300 miliardi di euro, con un onere di cedola nominale doppia sul valore nominale a rimborso per la durata in circolazione dei titoli emessi? O, per prendere il caso dei decennali, di nuovo con qualche arrotondamento, raccogliere i 450 miliardi emettendo 315 miliardi di valore nominale di Btp decennali con una cedola del 6,5% anziché il 2,05%? Da notare che il flusso cedolare da pagare ogni anno nel caso della citata emissione di decennali sopra la pari non è oltre 3 volte (6,5%/2,05%), ma poco più di due (circa 20,5 miliardi, pari a 6,5%x315, rispetto a circa 9,2 miliardi, pari a 2,05%x450).
Alla fine, l’alternativa è tra una maggiore spesa corrente per interessi sul debito statale ma un minor valore nominale del debito stesso circolante e una minore spesa corrente ma un maggiore ammontare nominale del debito. La Bce non continuerà a mantenere i tassi ai bassissimi livelli attuali ancora molto a lungo, occorre muoversi presto per poter beneficiare dell’attuale situazione. Se anche ci fossero delle voci contrarie a Bruxelles, si potrebbe controbattere che la soluzione prospettata, oltre a consentire di abbattere rapidamente il rapporto debito/Pil, al tempo stesso stimola più efficacemente l’amministrazione pubblica a una politica di bilancio di buon governo.
Professore emerito, Università Bocconi – Professore ordinario di International Banking and Capital Markets, Università Sapienza di Roma
Tancredi Bianchi e Marina Brogi (da Il Sole 24 Ore dell’11 aprile 2018)
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Non credo che la proposta di Tancredi Bianchi e di Marina Brogi di una “maxi-cedola per abbattere il debito pubblico” (come dal titolo del loro editoriale apparso sul Sole 24 Ore l’11 aprile) vada nella direzione giusta. Vi spiego perché.
Gli autori propongono l’emissione di titoli con una cedola (e quindi un pagamento di interessi nel corso del tempo) molto più alta di quella dei titoli attualmente in circolazione, pari (nell’esempio dei due autori) al 6% per un titolo ventennale, invece del 3 per cento.
Con una cedola così alta, a parità di entrate all’emissione, il pagamento del capitale fra 20 anni, e quindi il valore facciale del titolo, sarebbe molto più basso di quello di titoli emessi con cedola al 3 per cento. Qual è il vantaggio di questa operazione?
Emettere titoli a cedola elevata non cambia nulla in termini di vincoli di bilancio: si deve assumere infatti che i meccanismi di mercato facciano in modo (ed è quello che gli autori assumono) che, in termini di valore attuale netto (net present value) i titoli a cedola alta e bassa siano identici. In altri termini, una tale operazione non migliora il vincolo di bilancio intertemporale del governo.
L’operazione non è neppure volta a consentire al governo di prendere a prestito più risorse oggi e quindi non consente di «trarre vantaggio dall’attuale livello dei tassi di interesse»: le entrate sono ipotizzate essere uguali nel caso del titolo con cedola al 3% e al 6% (se così non fosse, alle maggiori entrate oggi corrisponderebbe un maggior rischio per il futuro in termini di rimborso del debito rispetto alla situazione iniziale).
In termini di durata, il titolo con cedola al 6% è in realtà meno vantaggioso in quanto comporta un pagamento anticipato del prestito. L’ammontare incassato è lo stesso, ma il titolo con cedola alta avrà pagamenti di cedole nei prossimi vent’anni più elevati, mentre avrà un rimborso finale del capitale dopo vent’anni più basso. La duration del titolo a cedola al 6% sarà quindi significativamente più bassa di quella del titolo emesso al 3% (nel caso di un titolo ventennale la duration si ridurrebbe di circa due anni). Insomma, invece di allungare i tempi del servizio del debito (pagamento di interessi e rimborso del capitale), tali tempi si ridurrebbero.
L’unico vantaggio del titolo a cedola elevata è di natura puramente contabile e dipende dal fatto che, nei criteri di contabilizzazione del debito rilevanti per il rispetto delle regole fiscali europee, il debito viene contabilizzato al valore facciale e quindi a quanto verrà rimborsato fra vent’anni e non a quanto incassato al momento dell’emissione. Questo in base alla Council Regulation (EC) 479/2009. Si noti, invece che nel sistema dei conti economici europei (ESA2010) il debito viene contabilizzato al prezzo di mercato (il prezzo di emissione nell’esempio sopra citato). Il vantaggio è quindi quello di far apparire il debito più basso di quello che è realmente (nel senso di farlo apparire più basso di quello che, in termini di cassa, si è effettivamente preso a prestito e incassato al momento dell’emissione). A fronte di questo vantaggio di natura puramente contabile sta la riduzione effettiva della durata dei titoli del debito pubblico.
In realtà ci sono anche altri e forse ben più significativi svantaggi. L’operazione sarebbe un aperto tentativo di circonvenzione delle regole europee. Certo, non saremmo i primi, né in Europa né altrove, a seguire approcci “creativi”, per usare un eufemismo, con il solo scopo di aggirare regole fiscali. Un interessante lavoro di Timothy Irwin intitolato “Accounting Devices and Fiscal Illusions” (pubblicato nel marzo 2012, come Staff Discussion Note, SDN/12/02 del Fondo monetario internazionale) include una vera tassonomia di questi metodi. Rispetto al dialogo con l’Europa non credo che una tale operazione ci metterebbe in buona luce, o che aumenterebbe la nostra autorevolezza per esempio nel chiedere politiche europee che, nella sostanza e non nella forma, vadano più a nostro vantaggio di quelle seguite nel recente passato. Se pensiamo che le regole fiscali europee vadano cambiate, dobbiamo avere il coraggio di dirlo apertamente e non cercare di aggirarle in modo palese. Ricordiamo fra l’altro che non ci vorrebbe molto per cambiare la definizione del debito rilevante ai fini delle regole fiscali, uniformandola per esempio a quella dell’ESA2010, vanificando così il tentativo di aggiramento attraverso maxi-cedole.
C’è anche un altro problema. Gli autori concordano sul fatto che, nella sostanza, l’operazione sarebbe neutrale dal punto di vista del vincolo di bilancio intertemporale dello stato, visto che il valore attuale netto di un titolo a cedola bassa e alta sarebbe lo stesso. L’osservazione di un debito più basso alimenterebbe però l’illusione che in nostri conti pubblici siano magicamente migliorati e genererebbe ulteriori pressioni per maggiori spese o tagli della tassazione.
Stranamente, gli autori della proposta pensano che questa stimoli «più efficacemente l’amministrazione pubblica a una politica di bilancio di buon governo». Non si capisce come questo possa essere il caso: quello che probabilmente prevarrebbe sarebbe un falso senso di sicurezza per il minor livello contabile del debito.
Un pensiero conclusivo: credo che, in generale, sia pericoloso suggerire che i nostri problemi di finanza pubblica possano essere risolti con operazione di dubbia ingegneria finanziaria invece che attraverso un innalzamento dell’avanzo primario che, se attuato per tempo e gradualmente, sarebbe compatibile con la prosecuzione della crescita della nostra economia.
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Carlo Cottarelli