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 2018  aprile 14 Sabato calendario

«Vendere il nostro oro? Non si può e non serve». Intervista a Salvatore Rossi, DG Bankitalia

Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, ha scritto un libro (“Oro”, pp 132, il Mulino) a metà fra saggio divulgativo, racconto e pamphlet. Ripercorrendo questa storia avvincente, Rossi tratteggia un ritratto dell’identità italiana – tra passato e presente – in un difficile momento di transizione.
Partiamo dalla storia dell’oro della riserva italiana? Nel 44 fu trafugato dai nazisti.
Diciamo razziato!
Lei da narratore immagina un funzionario indefesso, che prova a salvarlo.
Il primo capitolo prende spunto da un episodio storico. Dopo l’8 settembre, in Banca d’Italia si suppone che i tedeschi abbiano mire sulle nostre riserve. Così si immagina uno stratagemma per nascondere i lingotti.
Una cosa da film! Calarli un’intercapedine dentro il sotterraneo e murare.
L’oro era conservato – lo è tutt’ora – nel palazzo di via Nazionale in un caveau circondato da un’intercapedine. Si immaginò di nascondere l’oro laggiù e di dire ai tedeschi: «Lo abbiamo già spostato mesi fa». Si scelse Potenza, perché si pensava che da un giorno all’altro sarebbe caduta nelle mani americane.
Ma Potenza non cadde.
Esatto: così il governatore dell’epoca si rimangiò il piano.
L’idea narrativa nasce da una discesa in quel caveau che lei ha fatto con grande emozione per la prima volta nel 1976.
Sì appena assunto in Banca d’Italia.
Le pagine in cui descrive questi lingotti – tutti diversi e segnati dalla storia – sono straordinarie.
Fa impressione vederli: distese immense, molti di questi lingotti sono a terra, alcuni in armadi aperti, con grate. Ma molti sono ordinatamente disposti e si possono toccare. Alcuni lingotti sono marcati con le svastiche e altri con le falci e martello. Quelli razziati dai nazisti, in parte recuperati, erano stati rifusi.
Hitler non riuscì a vendere tutto quell’oro. Vendere l’oro delle riserve è difficile.
Era difficile vendere oro, a maggior ragione durante la guerra, e in poco tempo. Nel ’44 i tedeschi tentarono di farlo in Svizzera: mancano all’appello solo 21 tonnellate.
Abbiamo la quarta riserva aurea del mondo e la seconda dal punto di vista bancario. Perché?
È una prerogativa degli Stati sconfitti della seconda guerra mondiale: hanno usato le riserve anche, per rifarsi una credibilità.
L’Italia ora torna a credere, in questo mondo globalizzato, all’autarchia monetaria, allo stampare moneta. Come mai?
Perché è facile dimenticare quando il tempo stende la sua patina su tutto. Parliamo degli anni ’70, quasi mezzo secolo fa.
Oggi alla gente non è molto chiara la differenza tra una riserva di valore, una moneta o un sistema di pagamento.
Nel libro racconto del prestito che ottenemmo dalla Bundesbank nel 1974, un anno difficilissimo per l’economia italiana, eravamo sull’orlo di un fallimento pubblico.
Ma il prestito fu onorato, e recuperammo il nostro oro.
Fu un grande successo.
Perché c’è la falce e martello su alcuni lingotti?
È oro comprato in Russia negli anni ’50-60.
In più stagioni si fecero delle vere e proprie campagne di acquisizione, negli anni ’50-60, le ultime negli anni ’70.
Abbiamo smesso di comprarlo nel ’73 e non lo abbiamo mai decumulato.
Oggi abbiamo 1.100 tonnellate, in Italia e altre in America.
È molto difficile trasportarlo, per ragioni di sicurezza. Infatti la Bundesbank ha rimpatriato da poco in Germania metà delle sue riserve: le aveva tutte fuori dal Paese. Fino al 1989 non volevano che fosse vicino ai confini.
Cioè ai sovietici!
Fino alla caduta del muro è stato così.
Molti si chiedono: si può vendere parte di questo oro per abbattere il debito?
No. Per motivi pratici. Parliamo di un valore che oscilla fra 80 e 90 miliardi. Rispetto a un dubito pubblico di 2.300 miliardi è poco. Venderlo tutto, poi, è giuridicamente impossibile: c’è un accordo fra le banche centrali per razionare eventuali vendite. Serve a non far precipitare il valore.
È vietata la cessione?
Le vendite sul mercato privato libero sono razionate. Potremmo venderne poche centinaia di milioni alla volta: non risolveremmo il problema del nostro debito pubblico, ma daremmo un pessimo segnale.
Un “danno d’immagine”?
Devastante: saremmo l’unico Paese al mondo a liberarsi del proprio oro. Sembrerebbe un gesto di disperazione, tutto il mondo resterebbe a bocca aperta a chiedersi: «Perché l’Italia lo fa?».
Perché il valore dell’oro è rimasto intatto attraverso i millenni?
Per la fiducia di tutti nel fatto che questo materiale bello, lucente, puro, che ricorda il sole, abbia un valore che aumenta, più o meno nel corso del tempo. Se questa fiducia venisse meno, il valore dell’oro precipiterebbe.