Il Sole 24 Ore, 14 aprile 2018
Rinviata l’assemblea, ora «conta» nel Pd sul governo
Alla fine, in extremis, un Pd lacerato tra renziani e variamente antirenziani trova l’accordo per evitare una sanguinosa conta nell’assemblea nazionale inizialmente convocata per il 21 aprile per scegliere il successore di Matteo Renzi. O tramite elezione del “reggente” Maurizio Martina da parte del parlamentino dem, soluzione sostenuta dallo stesso Martina e dall’area che fa riferimento a Dario Franceschini; o tramite avvio del congresso subito con primarie in autunno, ipotesi sostenuta da molti renziani. E l’accordo infine trovato è l’unico che al momento può tenere se non unito almeno fermo il Pd: il rinvio dell’assemblea a dopo la formazione del governo per non turbare il difficile lavoro del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che la prossima settimana potrebbe dare un incarico.
«Ho chiesto al presidente Matteo Orfini di posticipare l’assemblea nazionale prevista per il 21 aprile, stante la nuova fase istituzionale determinata dall’incapacità delle forze che hanno prevalso il 4 marzo di dare al Paese una concreta ipotesi di governo – detta a tarda sera Martina –. A questo punto il Pd deve continuare a concentrare unitariamente tutte le proprie energie su questa situazione, nell’interesse generale del Paese, seguendo l’impegnativo lavoro del presidente Mattarella».
La decisione di Martina arriva solo molte ore dopo la proposta di Renzi (in mattinata un faccia a a faccia i due) di rinviare la conta a dopo al formazione del governo. Conta che in questa fase rischierebbe di essere sanguinosa per entrambe le parti: i renziani possono fare affidamento sulla carta su circa 600 voti su mille in assemblea, ma non è detto che tutti i convocati alla fine si presenteranno e soprattutto non è detto che tutti voteranno allo stesso modo. Alla fine, di fronte alla scelta tra il rinvio – soluzione sicuramente gradita anche al Capo dello Stato in questa fase delicata – e la conta con la possibilità di vedere avviato il congresso subito con primarie in autunno e con il presidente Matteo Orfini a gestire tutta la fase, Martina e i suoi grandi elettori (da Franceschini a Luigi Zanda fino – si dice – al premier Paolo Gentiloni) optano per il rinvio.
Lui, Renzi, incassa. Anche perché il segretario dimissionario non era poi così favorevole al congresso subito. Preferirebbe una soluzione mediana, con primarie a febbraio 2019 in modo da far decantare la situazione politica e maturare le possibili candidature (l’opzione preferita di Renzi resta quella di Graziano Delrio, anche se l’attuale capogruppo a Montecitorio ha fin qui detto di essere indisponibile per motivi personali). Di sicuro con la soluzione di governo ancora lontana e con i venti di guerra sulla Siria sarebbe stato un po’ lunare e fuori luogo – è il ragionamento dei renziani, e non solo dei renziani – mettersi ad avviare un congresso anticipato verso non si sa bene quale direzione. La soluzione del rinvio, dunque, alla fine accontenta un po’ tutti. Solo Andrea Orlando, leader della minoranza interna, si dice contrario a un «rinvio al buio»: dovrebbe almeno essere convocata una direzione per chiarire il percorso che si intende seguire, fa sapere.
Congelato lo scontro sul partito e sulla leadership, la questione governo ritorna dunque in primo piano nella discussione interna al Pd. Perché, anche se quasi tutti i democratici si dicono convinti che alla fine i due “vincitori” del 4 marzo troveranno un accordo, c’è pur sempre la possibilità di un prolungarsi dello stallo. E in questo caso il Pd potrebbe essere chiamato a un’assunzione di responsabilità. «Il rinvio non è un problema – riflette lo stesso Martina a decisione presa –. Ora bisogna capire il nuovo quadro dopo il caos tra centrodestra e M5s». Perché per un eventuale governo istituzionale il Pd c’è e ci sarà, compreso il paladino del “noi all’opposizione” Renzi.