Libero, 12 aprile 2018
Per Ikea tra 10 anni vivremo in monolocali metropolitani
Un mondo sempre più piccolo, a fronte di una popolazione sempre più numerosa. E più povera. Questo è il futuro che vedono in Ikea, la multinazionale fondata a 17 anni da Ingvar Kamprad, scomparso lo scorso gennaio dopo aver riempito il pianeta di mobili venduti attraverso i suoi 345 negozi diffusi ad ogni latitudine. Ma i suoi eredi non hanno perso l’ambizione di pensare in grande e di prevedere i problemi, piuttosto che subirli. E così, ad esempio, a meno di dieci minuti a piedi dal centro di Copenhagen in quello che fu uno stabilimento per la lavorazione degli astici, un gruppo di esperti il cui nome, “Rebel”, è già un programma, lavora per conto di Ikea, a programmare la vita nella città del futuro sulla base di premesse mica tanto allegre: nell’anno 2050, secondo l’Onu, ci saranno 9,7 miliardi di persone sulla terra e due su tre vivranno nelle città. Entro il 2100 la popolazione mondiale raggiungerà gli 11,2 miliardi. Solo per fare un confronto: attualmente vivono sulla Terra 7,4 miliardi di persone.
RIPERCUSSIONI
Date queste premesse, l’umanità dovrà presto fronteggiare alcune domande che, in assenza di una risposta tempestiva, rischiano di trasformarsi in emergenze drammatiche. Come vivrà la popolazione mondiale, se due terzi saranno concentrati in grandi centri urbani? Come sarà gestita l’agricoltura e come sarà garantita l’alimentazione dell’umanità, se la diffusione delle città andrà a discapito dei terreni coltivati? E ancora: quali ripercussioni avrà questo sviluppo sul nostro modo di abitare, lavorare e nutrirci?
A dare una risposta ci ha provato Jesper Brodin in un’intervista a Bloomberg. L’obiettivo della multinazionale è dialogare con una clientela che vivrà in spazi «sempre più piccoli», ma in centri urbani dalle dimensioni doppie di quelle attuali dove sarà sempre più complicato muoversi, specie in auto. La gita fuori porta o la scampagnata nei centri commerciali che hanno fatto la fortuna di Ikea (colazione a base di salmone compresa) sono destinati a diventare un sogno proibito. Perciò i nuovi negozi saranno più numerosi, più piccoli e concentrati nel centro delle città. Invece di attirare i clienti nei megastore in periferia, Ikea punta ad entrare direttamente nelle case dei potenziali clienti puntando sul digitale, shopping online e un servizio migliore di consegna a domicilio. È solo un aspetto, forse il meno importante di proposte destinate a cambiare il modo di vivere dei consumatori. Ma una cosa non cambia: la politica dei prezzi bassi, che è insita nel dna dell’azienda fondata da un Paperone reso celebre dalla leggendaria parsimonia.
TRASFORMAZIONI
Attenzione però: quando si tratta di progettare il futuro in Ikea non si bada a spese. Come sottolinea lo stesso Brodin i profitti dell’azienda sono scesi del 33% (alla pur ragguardevole cifra di 3,71 miliardi di euro) negli ultimi 12 mesi per finanziare le trasformazioni già in atto. Ma anche le nostre abitudini future. Per capire come è opportuno tornare alla periferia di Copenhagen, il laboratorio delle soluzioni più o meno avveniristiche.
Si sta progettando, ad esempio, una fattoria domestica ove far crescere frutta e vendura. Ma anche una sedia contro la vita sedentaria. Partendo dal principio che stare seduti troppo a lungo può portare a grosse complicazioni (a partire dall’insorgere del diabete), tale sedia sarà dotata di sensori che, dopo un certo tempo, abbassano lo schienale e lo sollevano.
E per ovviare ai problemi di portafogli leggeri, Brodin lancia il messaggio: bando alla proprietà, viva l’affitto. Tutto si potrà affittare nel pianeta Ikea. «Anche un tappeto», dice il manager. E i profitti? Verranno dal riutilizzo e dal riciclaggio necessari per difendere l’ambiente.