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 2018  aprile 12 Giovedì calendario

Il ragazzino va con i genitori dal giudice per cambiare sesso

Camilla (il nome è di fantasia) è una ragazzina di soli 17 anni, che ieri mattina si è presentata al tribunale sardo di Tempio Pausania (Sassari) con una richiesta singolare: vuole cambiare sesso. Perché in realtà Camilla all’anagrafe fa Camillo. È nata maschio, ma in quelle vesti non ci sta bene. Così da circa un anno è alle prese con la terapia ormonale e, grazie al sostegno di mamma e papà, ha deciso di fare il grande passo per «iniziare veramente la vita». Prima di mettersi in mano a un chirurgo, però, la ragazzina ha bisogno del via libera bollato dall’autorità: lei si è presentata davanti al giudice, accompagnata dai genitori, e adesso attende la decisione della corte. Entro l’estate i magistrati chiuderanno il suo fascicolo, il terzo che riguarda il cambiamento di sesso di un minore in Italia. 
«Il percorso per il cambio si sesso è altamente medicalizzato», commenta l’avvocato di Camilla, Cathy La Torre, che da anni si batte per i diritti dei trans e le cause di genere: «I genitori si sono costituiti assieme alla minore, in aula hanno raccontato la sofferenza patita dalla loro figlia e tutto quello che hanno dovuto fare in questi anni. Non ci resta che aspettare». Nel 2016 era stata la volta di un 16enne di Roma, prima autorizzazione in assoluto. Poi era toccato a Olimpia (al secolo Lorenzo), un’altra ragazza 17enne di Frosinone, che nell’ottobre scorso ha ottenuto la sentenza favorevole per cambiare l’intestazione sulla carta d’identità. Anche lei in tribunale c’era finita al fianco della madre. «Per me racconta Camilla alla stampa locale, avere i miei genitori dalla mia parte è la cosa più preziosa, loro rappresentano tutto». E a darle qualche speranza in più ci pensa La Torre: «Ci sono stati altri due casi analoghi nel nostro Paese ricorda il legale, e per fortuna entrambi sono andati a buon fine». Psicologi, medici e giudici: l’iter per il cambio di sesso prevede questi passaggi, il nullaosta al bisturi deve arrivare direttamente dal tribunale. Anche perché, essendo un tema di per sé delicato, la semplice “confusione mentale”, che nei bambini è frequente, va vagliata con attenzione: studi scientifici condotti negli ultimi anni sostengono che, in questa fase, solo un bimbo ogni 44 alla fine opti effettivamente per l’operazione. Che, manco a dirlo, ai più piccini è vietata almeno fino ai 16 anni, non solo da noi. E se le linee guida internazionali non hanno ancora trovato piena attuazione in Italia, in compenso stanno crescendo i poli ospedalieri attrezzati a ricevere questo genere di baby-pazienti.