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 2018  aprile 13 Venerdì calendario

La grande bouffe della peggio Italia È il ritorno di Busi

Il Barbino di Seminario sulla gioventù (anno 1984) si è fatto uomo maturo per lasciarci Le consapevolezze ultime (Einaudi Stile libero, in libreria dal 17 aprile), somma di un’esistenza firmata da Aldo Busi con disincanto ancora più tagliente del solito.
Giocando sul terreno più arato, nella convinzione che chi conosce alla perfezione il proprio metro quadrato conosce tutto il mondo, lo scrittore ambienta il romanzo nella provincia di Brescia durante una cena tra notabili accomunati dall’esercizio del potere del denaro e dunque sciolti da qualunque patto morale. Potrebbe essere dovunque, in Italia e fuori Italia, se la corruzione globalizzata finisce per far assomigliare le classi dominanti di ogni latitudine.
La cena è scenario classico, in letteratura e nel cinema. Aldo Busi è l’invitato eccellente, benché nessuno si sia mai peritato di leggere un suo libro, l’autore troppo celebrato per farsi sfuggire l’occasione di un incontro ravvicinato allo scopo, naturalmente fallito, di cooptarlo.
Deve, e lo sa, épater le bourgeois, ruolo centrale in altre sue opere in cui l’autobiografia si rende vassalla della narrazione. Non si sottrae e sciorina il vasto campionario delle sue provocazioni. Affiora, qua e là, la stanchezza di un rituale spesso ripetuto senza che nessuno, o in pochi, ne abbia mai capito, o almeno intuito, l’intrinseco valore rivoluzionario. Perché la sovrastruttura delle convenzioni cozza e, per come vanno le cose, vince sulle sue convinzioni (o consapevolezze) ultime.
Lo scrittore muove i personaggi nel mezzo di una grande abbuffata dove il cibo è sinonimo di opulenza rubata, schiaffo, ogni boccone un insulto alla moltitudine tradita dell’umanità. C’è l’industriale che ha farcito i terreni del pianeta di mine antiuomo, il direttore di banca che sa come far emigrare i capitali nei paradisi artificiali, l’industriale che ha insozzato di rifiuti tossici l’habitat in cui ci tocca di vivere, donne non ancora così attempate da non desiderare un estremo flusso di energia sessuale. Tutti intenti a celare sotto il tappeto le proprie malefatte e ormai così impuniti grazie alla vague corrente del primato inossidabile dei soldi da sbandierare senza pudore l’alibi onnicomprensivo del “così fan tutti”. E pure premurosi nell’omettere qualche guaio di famiglia, un figlio squadrista, una figlia di chissà quale destino. O due madri che facevano quel mestiere antico al Carmine di Brescia, ora felicemente esiliate a Lerici per non disturbare l’immagine dei discendenti, il Guglielmone e la Teresa padroni di casa, che «si sono fatti una posizione». La Teresa, l’unica a cui conceda qualche indulgenza come sovente ai personaggi femminili, a cominciare dalla sua stessa madre. Ci sarebbe potuto essere, a quella cena, per consonanza di postura, anche il mantovano Pasquale Lometto di Vita standard di un venditore di collant (suo secondo romanzo, 1985), a conferma che le convinzioni ultime di Busi spesso coincidono con le prime, visto che si può rintracciare una perfetta coerenza in tutta la sua vasta produzione. Lo scrittore-ospite si barcamena tra invettive e precipitose fughe in bagno o in giardino dove sedare momentaneamente il disgusto. E, se ci si chiede perché ha risposto sì a quell’invito sapendo cosa lo aspettava, la spiegazione sta nell’esergo, una sua frase spesso ribadita fino a diventare un marchio di fabbrica: «Io pur di scrivere mi sono ridotto a vivere». E pazienza il mal di stomaco se la “bella società” gli restituisce linfa per la sua penna.
Pur se le similitudini sono sempre zoppe, la villa-quadro del romanzo ha delle assonanze con quella dove Pier Paolo Pasolini ha ambientato il film Salò o le 120 giornate di Sodoma.
I gerarchi fascisti sono sordi al mondo circostante esattamente come i ricchi bresciani sembrano avulsi dai drammi della contemporaneità, al punto da non udire il lamento di dolore, la richiesta di aiuto lanciata dai profughi che stanno morendo nel mezzo del Mediterraneo. Ma mentre il regime di Mussolini correva veloce verso la sua dissoluzione, i gerarchi di oggi celebrano il trionfo del loro status. Il Busi più politico, con le sue riflessioni parallele, manda in cortocircuito l’ambiente claustrofobico del simposio col mare aperto della storia che si snoda fuori. Elenca i luoghi dove non è più possibile viaggiare perché le guerre si sono mangiate spazi di libertà, comprende anche un Egitto da evitare causa lo scempio del corpo di Giulio Regeni. Racconta l’imbarazzo e l’orrore per un incontro fortuito nel suo ristorante a Managua «con uno di questi italiani assassini latitanti di successo» a cui ha evitato, allontanandosi all’inglese, di stringere la mano. È trasparentemente il brigatista Alessio Casimirri, che partecipò al sequestro di Aldo Moro e all’uccisione degli uomini della scorta, giusto 40 anni fa. Le pagine trasudano di una richiesta forte di giustizia e comprendono la consapevolezza che non se ne avrà mai, perché i criminali di Stato impediscono qualunque legalità. La summa ideale del libro sta in una frase della Teresa che minimizza: «Noi non siamo i peggiori, mi creda». La stessa, ricorda lo scrittore, che disse Antonietta Bagarella, moglie di Salvatore Riina a una giornalista del Manifesto al commiato dopo un’intervista. Dove l’allusione era ai “mandanti fuori famiglia” delle stragi. Però per Busi «chi è complice dei peggiori non può che nutrire la legittima aspirazione di superarli».
Finalmente lasciando la tavola e fuggendo nella notte, all’autore non resta che cercare aria pura in un viaggio verso Lerici dove incontrare le due vecchie mondane, peraltro conosciute quando era Barbino e sbocciava sia alla vita sia alla letteratura, per trovare il sollievo tra i semplici (il ritorno all’adolescenza agrodolce è un’altra delle sue costanti, sfociata in alcune pagine immancabili di Cazzi e canguri, 1994). Tempo è passato. Da
Seminario sulla gioventù alle Consapevolezze ultime (speriamo penultime), le erezioni sono diventate minzioni. La prostata dell’Aldo è quella che è. La sua incontinenza verbale, sempre la stessa.