la Repubblica, 13 aprile 2018
L’amaca
Le aggressioni ai medici nei loro ambulatori, e agli insegnanti nelle loro scuole, sono un segnale di quel vero e proprio odio delle competenze che è uno dei macro fenomeni delle società occidentali. È da un sacco di tempo che si sente dire, signora mia, che non ci sono più i buoni maestri di una volta, con conseguente contrizione delle varie categorie intellettuali più o meno castali, più o meno degne del loro pulpito.
Ora ci si rende conto che la questione è perfino più drammatica, se non altro in termini numerici: il rischio è che non ci siano più i buoni allievi, e questo taglierebbe la testa al toro, perché non ha senso insegnare se nessuno impara, scrivere se nessuno legge.
Nel vituperato Sessantotto fu radicalmente in discussione il principio di autorità; non certo l’idea che le competenze non solo contassero, ma fossero la leva per cambiare il mondo.
La cultura era un mito, e non c’era leaderino che non sognasse di offuscare i professori diventando più agguerrito, più seduttivo, più retore di quanto fossero quegli adulti in cravatta.
Ora l’eterna dialettica tra cattedra e scolaresca, e tra la scrivania del medico e la sedia del paziente, minaccia di sciogliersi in un ceffone, uno spintone, uno sputo oppure un ordinario “crepa!”
sui social, perché la tonsilla è mia e il figliolo somaro in aritmetica anche, e tu non ti devi permettere di fare o di dire alcunché che mi disturbi o mi faccia sentire in colpa.
Sta nascendo il sovranismo individuale.