la Repubblica, 12 aprile 2018
Carlo Conti “La mia Corrida? Tale e quale a quella di Corrado”
Carlo Conti fa un respiro profondo prima di rispondere a una domanda semplice: come va? «Si va avanti col pilota automatico, da quando sono tornato a L’eredità niente è stato facile, avrei preferito essere ovunque ma non in quello studio. Con Fabrizio il legame era forte, stretto, vero. È una ferita che rimarrà nel cuore».
È stato al fianco di Frizzi nella malattia e quando il conduttore era tornato in studio, gli aveva riconsegnato le chiavi.
«Fabrizio era consapevole di tutto, stava meglio ed è voluto tornare a lavorare. L’aveva deciso lui e anche i medici avevano dato l’ok», racconta Conti. Parla per la prima volta dopo la scomparsa dell’amico, alla vigilia del debutto con La Corrida domani su Rai 1, a cinquant’anni dal programma di Corrado.
È stato difficile tornare in tv?
«Sì. Si va avanti perché si deve.
Ci sono gli impegni, La Corrida, i Wind Awards, lo speciale per la mensa dei frati francescani.
Poi con Panariello e Pieraccioni dobbiamo recuperare la data in teatro a New York… Ma il senso di vuoto è immenso».
Molti hanno pensato che la vostra amicizia fosse recente.
«No, eravamo amici da sempre, ci siamo sentiti uguali, ci eravamo riconosciuti: stessa leggerezza, stessi valori nella vita, stessa serenità nel prendere nel modo giusto il lavoro. Siamo stati testimoni di Telethon, dell’Airc.
Quando Fabrizio ha fatto Tale e quale ormai era fratellanza. Lo sentivo davvero come un fratello».
La Rai è stata criticata perché Frizzi era stato messo da parte.
Che ne pensa?
«In tutte le carriere ci sono alti e bassi, è un diritto di chi fa televisione scegliere, siamo liberi professionisti. Però il legame vero è quello con la gente, il pubblico e il tempo sono gli unici giudici del nostro mestiere. Un programma può andare meglio o peggio, ma il rapporto lo costruisci.
Fabrizio l’aveva costruito».
C’è stata un’ondata di commozione senza precedenti.
«Non mi ha stupito. Quel legame di cui parlavamo era saldo, forte.
E con il suo modo di essere, di fare le cose piano piano, Fabrizio era entrato nel cuore del pubblico e ci era rimasto. Non sa quanti mi hanno fermato per farmi le condoglianze e consolarmi come se fossi un parente… Hanno capito che il nostro era un rapporto vero.
Ma sono cose private.
Parliamo della Corrida».
“La Corrida” è un’operazione nostalgia?
«No, è un classico. Sono cresciuto ascoltando Corrado alla radio, spesso faceva il programma negli studi Rai di Firenze.
Quando un format è forte non serve attualizzarlo. Ho aumentato il ritmo – avremo quindici concorrenti – ma la faccio esattamente com’era.
L’imitazione nata al sagra del paese o per gli amici così guadagna una ribalta nazionale.
Alle selezioni ho visto una provincia viva».
In una tv a caccia del talento non le sembra antistorico proporre dilettanti allo sbaraglio?
«La Corrida è il primo vero people show, uno può avere più o meno talento e comunque avere tanta voglia di mettersi in gioco.
La gente lavora e ha voglia di leggerezza. Quando l’ha fatta magistralmente Gerry Scotti quello spirito l’aveva ritrovato».
Lei è complice dei concorrenti? Corrado aveva un’ironia tutta sua.
«Sempre, sia qui che a L’eredità.
Non potrei essere cattivo, non mi riesce. Ho lo spirito toscano di Amici miei. Il nostro è un paese di cantanti, rapper, ballerine, poeti e c’è ancora il suonatore di ascella. Si ricorda quando Corrado sfilando la giacca diceva: le tolgo il portastrumento? Tutto uguale».