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 2018  aprile 12 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL SECONDO GIRO DI MATTARELLAREPUBBLICA DI STAMATTINACLAUDIO TITOCLAUDIO TITO C’è una questione completamente nuova che sta emergendo in queste lunghe consultazioni per la formazione del governo

APPUNTI PER GAZZETTA - IL SECONDO GIRO DI MATTARELLA

REPUBBLICA DI STAMATTINA
CLAUDIO TITO
CLAUDIO TITO C’è una questione completamente nuova che sta emergendo in queste lunghe consultazioni per la formazione del governo. Un tema che non è mai stato oggetto di discussione concreta in settant’anni di storia repubblicana. E che ora si trova improvvisamente nei dossier di molte forze politiche italiane, soprattutto di quasi tutte le Cancellerie europee e anche di Washington. Si tratta della collocazione internazionale dell’Italia, dell’appartenenza all’alleanza occidentale e in sintesi al Patto Atlantico. Il nodo si è stretto con forza dopo la vittoria di Lega e Movimento 5Stelle alle ultime elezioni. Con la prospettiva che questi due partiti possano essere l’asse portante dell’esecutivo in gestazione. Tutto nasce dalla sintonia amichevole con il presidente russo Putin che il segretario leghista Salvini proclama con evidenza e che i vertici grillini non hanno nascosto anche nel recente passato. Basta leggere le dichiarazioni che il capo lumbard ha rilasciato persino ieri in difesa di Putin e Assad e contro la Casa Bianca di Trump: «Non sentite puzza di guerra nascosta sotto le fake news?». Del resto l’incontro di un anno fa tra Salvini e lo “zar” russo è stato testimoniato con tanto di foto ufficiali. In vista del voto in Russia, poi, il capo lumbard non ha esitato il mese scorso: «Mi auguro che rieleggano Putin». Pure tra i Pentastellati le attrazioni verso Mosca non sono mancate. Due anni fa Manlio Di Stefano e Alessandro Di Battista hanno partecipato al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. E Di Stefano è intervenuto dal palco deplorando «l’allargamento della Nato a Est». Di Maio che in passato si è speso per eliminare le sanzioni contro il Cremlino, nelle sue ultime esternazioni - in particolare quella rilasciata dopo l’incontro al Quirinale in occasione del primo giro di consultazioni - ha in realtà rassicurato sulla lealtà Atlantica del suo partito. Eppure nel programma ufficiale presentato dal M5S in vista delle ultime elezioni, quella lealtà si presenta profondamente sbiadita. «È indispensabile - si legge nel documento pubblicato sul sito 5Stelle - una riflessione sull’attuale ruolo della Nato e sugli effetti che l’appartenenza italiana alla Nato produce in termini di limitazione della sovranità territoriale» e si ribadisce «l’esigenza di aprire un tavolo di confronto affinché il modello in vigore sia superato». Non solo. I pentastellati lavoreranno «per il ritiro immediato delle sanzioni imposte alla Russia». Si tratta insomma di propositi che hanno destato più di un interrogativo oltre confine. Basti ricordare che non molto tempo fa l’americano Joe Biden, il vicepresidente di Barak Obama, disse a chiare lettere che dietro Salvini e Di Maio c’era Putin. Per l’Italia, e per il nuovo governo, tutto questo avviene però nella fase di maggior conflitto tra Usa e Russia. Con il probabile intervento armato americano in Siria e con il possibile coinvolgimento delle basi militari presenti sul nostro territorio. È allora compatibile con questo contesto una maggioranza che mette in dubbio gli assetti che storicamente ci hanno accompagnato? È il quesito che viene posto c dagli interlocutori preferenziali del nostro Paese a Bruxelles e a Washington, e che sta entrando a pieno titolo nelle discussioni “interne” che riguardano il nuovo esecutivo. Basti pensare a quel che ha detto ieri il premier uscente Paolo Gentiloni, definendo «inaccettabili» gli attacchi chimici in Siria, riproponendo la linea tradizionale della «risposta di pace» ma confermando il «supporto alle attività delle forze alleate». Il punto è che nonostante il cambio determinato il 4 marzo nel sistema politico italiano, i rapporti internazionali non sono un foglio bianco da riempire. L’impianto delle relazioni estere è consolidato. Un argomento ben presente anche al Quirinale. Sergio Mattarella, ad esempio, era vicepresidente del consiglio del gabinetto guidato da Massimo D’Alema. Ossia l’esecutivo che nacque dalla crisi del governo Prodi, dall’addio alla maggioranza di un partito, Rifondazione comunista, dichiaratamente contrario alla Nato. Quella compagine nel 1999, pochi mesi dopo la sua nascita, partecipò non a caso al conflitto militare in Kosovo. L’Europa e l’atlantismo sono dunque i capisaldi della nostra politica estera. Che possono essere messi in discussione se si mette nel conto uno shock. Se si contempla la necessità di essere associati all’ondata populista e di destra di una parte dell’Europa dell’Est simboleggiata dall’ultima vittoria di Orban in Ungheria. E soprattutto se si mette nel conto il rischio di essere emarginati dagli alleati. Perché una deriva eccentrica sul piano internazionale può provocare in primo luogo l’isolamento e quindi l’impossibilità di incidere nei processi decisionali. Come ha detto anche di recente il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, esiste un «ruolo primario delle relazioni transatlantiche» e «gli Usa restano il nostro più grande alleato». Una semplice constatazione che non è più messa in discussione da nessuno almeno dal 1976, da quando cioè il segretario del Pci Enrico Berlinguer dichiarò di accettare l’«ombrello» della Nato. Come dice l’ex ministro degli Esteri dei governi Berlusconi, Franco Frattini, «è evidente che noi non possiamo uscire dal Patto Atlantico e che dobbiamo difendere il nostro atlantismo. Chi governerà dovrà semmai assumersi la responsabilità di mediare, di promuovere la pace tra Russia e Usa». «Noi - ricorda siamo quelli di Pratica di Mare. Siamo quelli che hanno fatto stringere la mano a Bush e a Putin. Abbiamo svolto quel ruolo. Schierarsi con la Russia e basta non ci appartiene. Noi stiamo con l’Occidente. Su questo dobbiamo stare attenti». Tutti argomenti che nel secondo giro di consultazioni che si sta per aprire al Quirinale un peso di certo lo avrà.

REPUBBLICA.IT
ROMA - La crisi siriana fa ingresso nelle consultazioni per il governo, e impone una accelerazione. Il presidente Mattarella, negli incontri della mattinata con gruppo delle autonomie, gruppi misti e Leu, ha espresso le sue preoccupazioni per i venti di guerra che soffiano di nuovo, e ha spiegato alle delegazioni che serve "un governo nella pienezza delle sue funzioni". Anche per affrontare l’emergenza internazionale, che può riguardare il nostro paese se gli aerei americani partiranno da Aviano e Sigonella. Della crisi siriana ha parlato, tra gli altri, Maurizio Martina, a capo della delegazione Pd salita al Colle nel pomeriggio.

· IL PARTITO DEMOCRATICO
Il Pd, ha spiegato il segretario Martina, continuerà ad esercitare "un ruolo di minoranza in Parlamento". Non ha pronunciato più la parola "opposizione", come nel primo giro, il che porta a leggere una qualche disponibilita in più dei democratici a rientrare in gioco, non per un governo con i 5Stelle, ma semmai ad una chiamata di Mattarella per un governo di tutti. Toni dunque più soft rispetto ad un Aventino duro e puro, forse frutto proprio di valutazioni arrivate nel corso dell’incontro nello Studio alla Vetrata.

Martina è rimasto molto duro nei confronti di Salvini e Di Maio: al primo ha attribuito il progetto di voler "ribaltare" il quadro delle alleanze internazionali del nostro Paese. Cosi come il "balletto di personalismi, tatticismi, polemiche" con Di Maio, "veti e tira e molla, tanto più insopportabili se sostengono di aver vinto". Ma con un "doppio binario", litigano e allo stesso tempo "si spartiscono tutti gli incarichi parlamentari, non lasciando spazio ad una nostra corresponsabilità, il che è inaccettabile". In ogni caso, ha confermato il leader del Pd, tocca ai partiti che hanno vinto presentare una proposta. "Noi saremo responsabili e rispettosi delle indicazioni del presidente Mattarella".
Consultazioni, Martina (Pd): "Chi ha vinto dica se governa, basta tatticismi 5S-Lega" Condividi   · IL CENTRODESTRA
Dopo il Pd è arrivata al Quirinale la delegazione di centrodestra con Meloni, Berlusconi e Salvini, reduci da un difficile vertice a palazzo Grazioli, con Fi che continua ad opporsi al veto M5s sull’ex cavaliere. 

Ora al #Quirinale il centrodestra unito con i capigruppo del Senato e della Camera per il secondo giro di #Consultazioni del Presidente Mattarella per la formazione del nuovo Governo. #Consultazioni2018 pic.twitter.com/lYECpWN4Sb

— Silvio Berlusconi (@berlusconi) 12 aprile 2018 "Abbiamo chiesto al nostro leader Matteo Salvini di darne lettura e sarà una lettura attenta alle singole parole su cui abbiamo discusso abbastanza", ha detto Silvio Berlusconi al termine delle consultazioni, spiegando che Salvini leggerà un comunicato unitario.

"Ci siamo recati dal capo dello Stato per esprime l’unità di intenti della coalizione che ha vinto le elezioni", ha detto Salvini. "Abbiamo trovato una condivisione invidiabile e invidiata dalle altre forze che stanno discutendo al loro interno".

Gli ultimi ad essere ascoltati da Mattarella saranno i 5 Stelle guidati da Luigi Di Maio. Poi il capo dello Stato si riunirà con il suo staff per una analisi della giornata di consultazioni.

· I POSSIBILI SCENARI
L’ipotesi più forte - le decisione arriveranno probabilmente all’inizio della prossima settimana - è un preincarico di governo per uno dei duellanti, Salvini o Di Maio. In campo anche la possibilità di un mandato esplorativo per la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati (favorita rispetto al presidente della Camera Roberto Fico). Sullo sfondo, ancora, l’idea di affidare l’incarico ad una figura  "terza" rispetto ai due aspiranti premier.

Domani all’ora di pranzo, alla fine degli incontri, il presidente Mattarella uscirà nella Loggia d’Onore ad annunciare le sue determinazioni.Il capo dello Stato, oggi pomeriggio con l’arrivo nel suo studio dei partiti maggiori, vuol sapere come stanno davvero le cose.

Di fronte infatti al valzer dei veti incrociati, Mattarella non aspetterà a lungo per giocare le sue carte. Certamente non fino alle regionali in Molise (22 aprile) e in Friuli (29 aprile), come piacerebbe alla Lega e anche ai grillini convinti di uscire rafforzati dal voto.

Il capo dello Stato del resto non intende nemmeno attendere e farsi condizionare "da appuntamenti interni che riguardano la vita dei partiti". Con riferimento, in questo caso, all’altro fronte, quello del Pd.

L’ala renziana dei democratici, attestata sull’Aventino, lascia intendere difatti che qualcosa potrebbe cambiare soltanto dopo l’assemblea nazionale del partito, convocata per il 21 aprile per eleggere il nuovo segretario. Tutto stoppato dal Colle, che non intende stare a guardare mentre al Nazareno si fanno la guerra: il Pd dica adesso, nello Studio alla Vetrata, se conferma o meno la linea del no a qualunque intesa per il governo.

· LIBERI E UGUALI
Liberi e uguali. All’uscita dallo studio di Mattarella è stato l’ex presidente del Senato Piero Grasso a prendere la parola: "Al presidente Mattarella abbiamo ribadito la nostra posizione: bisogna uscire dai personalismi e cominciare a trattare i temi più urgenti del Paese: la tutela del lavoro e la lotta alla povertà, il welfare e i diritti civili. Quanto all’economia aspettiamo la presentazione del Def. Su questi punti siamo disponibili a ogni confronto e dialogo".

· IL GRUPPO AUTONOMIE
Ha aperto le danze il gruppo delle Autonomie del Senato: "Non ci vuole molta fantasia - ha detto ai giornalisti la senatrice Juliane Unterberger - per immaginare le preoccupazioni del capo dello Stato per l’escalation militare e le reazioni delle forze politiche italiane. Abbiamo detto al presidente della Repubblica che serve presto un governo nella pienezza delle sue funzioni. Ancorato all’Europa". Un riferimento alle posizioni di chi invece, come la Lega, si schiera con Putin.
Consultazioni, Svp: "Disponibili al dialogo con tutte le forze politiche. Abbiamo fiducia in Mattarella" Condividi   · IL GRUPPO MISTO
Per il gruppo misto del Senato, hannop parlato Riccardo Nencini e Emma Bonino: "Tocca ai partiti del centrodestra, che hanno avuto più voti, incarico di governo. Presentino al presidente della Repubblica non solo un programma ma anche una maggioranza parlamentare, se in grado di farlo".

Per il socialista Nencini, a capo del Gruppo misto del Senato, serve una "accelerazione" nella soluzione della crisi, "non bisogna aspettare le elezioni  regionali, anche per la crisi siriana, ma uscire dalle schermaglie". Emma Bonino, di + Europa, ha chiuso a qualunque sostegno a governi, "staremo all’opposizione di un esecutivo Lega-5Stelle". Il centrodestra "ha il diritto e direi la responsabilità e il dovere di provare a costruire una maggioranza, poi vedremo con quali risultati".
Consultazioni, Bonino: "No a pericolosi ondeggiamenti su crisi siriana" Condividi  
La leader di +Europa ha indicato tre punti chiave: "la tenuta dei conti pubblici, la questione europea con l’Italia che deve essere protagonista con Germania e Francia di una difficile discussione sul futuro e smettere di usare l’Europa come capro espiatorio di difficoltà interne". E infine la Siria, "con Italia senza ondeggiamenti nel rispetto della Alleanza atlantica. Si apra un confronto, vedremo se intervento militare o meno. C’è anche la soluzione del ricorso al tribunale penale internazionale".

· LEU
Da Pietro Grasso - leader di Leu che ha chiuso gli incontri della mattinata, un no ad un intervento militare in Siria, "il contesto internazionale e nazionale non ci consente di valutare l’impiego di missili o bombe. Il governo venga a riferire con urgenza in Parlamento".

CUSTODERO REP
ROMA - "Accordo solo se il M5s riconosce Berlusconi. Serve una dichiarazione formale, altrimenti nessun dialogo". Maria Stella Gelmini e Anna Maria Bernini, capigruppo forzisti alla Camera e al Senato, dopo un incontro con Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli prima del vertice dei leader di centrodestra in vista delle consultazioni al Quirinale, rilanciano. Toccava a loro questa difficile mossa politica dopo la campagna mediatica scatenata dal M5s non contro Fi, ma contro il suo leader.

"Mai un governo con Berlusconi e Forza Italia" hanno ribadito i capigruppo 5 stelle Giulia Grillo e Danilo Toninelli. Visto che è del tutto improbabile che il capo di Fi si faccia da parte, sarà facile per Luigi Di Maio scaricare la responsabilità di un mancato governo sul leader forzista. Il leader pentastellato sembra prepararsi il terreno per poi arrivare a dire che chi non vuol fare il governo è Berlusconi perchè non vuol fare un passo indietro. M5s (e forse anche Matteo Salvini) tentano di trascinare la partita del governo fino alla fine del mese, dopo le elezioni regionali in Friuli e Molise. Le previsioni di un forte calo di Fi porterebbero in una posizione di forza (nei confronti di Berlusconi) in particolare il leader del Carroccio.

I grillini, con l’attacco personale a Berlusconi, passano dunque la palla ai forzisti ai quali tendono, per così dire, una trappola politica. Nel tentativo di uscirne, Gelmini e Bernini rispondono e danno il loro aut aut, chiedendo ai grillini che facciano loro, questa volta, un passo indietro riconoscendo ufficialmente Silvio Berlusconi. "La trattativa per la formazione di un governo tra centrodestra e M5s - dichiara Anna Maria Bernini - potrà avvenire solo attraverso l’accettazione esplicita e pubblica da parte del movimento 5 Stelle della basilare ed imprescindibile partecipazione di Silvio Berlusconi e di Forza Italia alla coalizione di centrodestra".

Alla richiesta di riconoscere Berlusconi, Di Maio risponde con un "no secco". Quasi in contemporanea, il capo politico dei 5 stelle posta su Instagram l’avvio dell’incarico sull’esame dei programmi: "Oggi ho conferito ufficialmente al professor Giacinto Della Cananea l’incarico di esaminare i programmi ufficiali elettorali che sono stati presentati dalle forze politiche Lega e Partito Democratico per vagliare sia gli aspetti comuni, sia gli aspetti distintivi, al fine di valutare la compatibilità dei relativi programmi politici e di avviare il percorso necessario a offrire un Governo stabile e utile al Paese".


• L’INCONTRO A PALAZZO GRAZIOLI: "O GOVERNO OPPURE OPPOSIZIONE DURA"
All’incontro erano presenti Gianni Letta, Nicolò Ghedini, Sestino Giacomini (braccio destro dell’ex Cavaliere), Valentino Valentini, Giorgio Mulé, Licia Ronzulli e poi le due capigruppo Gelmini e Bernini. Letta e Ghedini hanno fatto una analisi concordante sul fatto che o Forza Italia entra nel governo con tutti gli onori, oppure si sta all’opposizione, "ma una opposizione vera". È stata analizzata, scartandola, anche l’ipotesi dell’appoggio esterno a un governo Lega-M5s.

Le due capigruppo hanno fatto notare, tra l’altro, che l’ipotesi di un appoggio esterno è stata esclusa anche nel corso delle riunioni svoltesi ieri e l’altro ieri con i parlamentari dei Gruppi in quanto è stata ritenuta una strada "non gradita da Fi sul territorio". In sostanza, sostengono i forzisti, il veto su Berlusconi si riflette in un veto sul partito. La questione è: escludere Berlusconi significa non tenere conto dei 5 milioni di voti che lo hanno votato come rappresentante di Fi. Per contro, riconoscerlo, significa restituire dignità a quei milioni di elettori che lo hanno scelto.

• "LA STRATEGIA M5S? DISGREGARE IL CENTRODESTRA PER ACCREDITARSI COME VINCITORI"
Durante la riunione a Palazzo Grazioli, s’è parlato anche della strategia del M5s. "È fin troppo facile intuirne il fine" hanno detto. Attaccando Berlusconi, vogliono colpire Fi, così facendo spaccare il fronte del centrodestra che ha raccolto il numero più alto di voti. Nel momento in cui riuscisse l’operazione di separare Fi dalla Lega, il M5s diventerebbe la forza politica più importante in grado di rivendicare la poltrona di Palazzo Chigi. Questa l’analisi della strategia 5 Stelle fatta dai forzisti. Tutto dipenderà, ora, da Matteo Salvini

PIZZAROTTI

Il tradimento delle origini, la svolta istituzionale, un unico dogma come programma politico: creare consenso, costi quel che costi. Una mutazione genetica per il Movimento 5 Stelle “che ormai non ha più nulla di quello che ho conosciuto io”. Federico Pizzarotti, sindaco di Parma al secondo mandato, è il primo grande dissidente del M5S: “Che ormai è diventato il partito personale di Di Maio. Se riusciranno a fare il governo? Lo sa solo il loro capo politico: decide tutto lui”. Così Pizzarotti a Circo Massimo, la trasmissione di Radio Capital condotta da Massimo Giannini.
 
Il tema principale è quello della formazione del governo. E il sindaco di Parma analizza la politica dei due forni messa in campo dai Cinque Stelle. Suggerendo i motivi per cui alla fine un accordo con la Lega è più probabile: “In questi anni il Pd è stato demonizzato: per il militante del Movimento è peggio il Pd che la Lega. Salvini non è mai stato il nemico pubblico numero uno”. Un accordo, quello tra Carroccio e M5S su cui pesa la presenza di Berlusconi. “Ma io ormai mi aspetto di tutto da Di Maio: per loro basta mettere a punto solo una strategia comunicativa efficace e possono giustificare tutto”.
 
Aboliti i principi, spazio aperto per ogni tipo di compromesso. Una fase politica che segna una mutazione per il Movimento Cinque Stelle. “Mi aspettavo un minimo di ribellione dalla base: invece ogni cosa che viene decisa dall’alto viene immediatamente assimilata”, continua Pizzarotti. Che sottolinea come l’assenza di spirito critico tra militanti e dirigenti sia sfruttata dai vertici. “La linea è ormai solo creare consenso: non più solo rivolgendosi ai cittadini ma anche agli apparati, alle associazioni”.

Uns mutazione che Pizzarotti lega al "nuovo ruolo" di Beppe Grillo: "Il fondatore del Movimento non c’è più dal 2014. E’ come la mamma di Psycho…sta lì mummificato, viene tirato fuori quando serve a Casaleggio e Di Maio”. Sacrificato in nome del nuovo corso, in cui c’è solo il primato della comunicazione: "Possono fare tutto: la loro unica preoccupazione è solo trovare il modo di comunicare anestetizzando le svolte e così facendo giustificando ciò che fino a un attimo prima era ingiustificabile".  

MARTIRANO SUL CORRIERE DI STAMATTINA

Passo avanti di Di Maio e Salvini Telefonata e patto sulle nomine

Camera, commissione speciale al leghista Molteni. I due leader: no a incarichi a caso

Dino Martirano

ROMA Nel pomeriggio, quando le delegazioni dei tre partiti maggiori saliranno al Colle per il secondo giro di consultazioni, l’asse M5S-Lega avrà già incassato un’altra nomina pesante, stavolta non concordata con Forza Italia. Dopo giorni di reciproche punture di spillo, Luigi di Maio e Matteo Salvini hanno annunciato, con un comunicato congiunto, la candidatura del leghista Nicola Molteni alla presidenza della commissione speciale della Camera (quella gemella del Senato è presieduta dal grillino Vito Crimi) che in assenza di un governo si dovrà occupare del Def. E così il grande escluso, il Pd, accusa il colpo: «Di Maio e Salvini comunicano su carta intestata l’accordo spartitorio», dice Maurizio Martina. Ma pure in FI c’è nervosismo perché la scelta di Molteni «non è stata comunicata».

I due «vincitori» delle elezioni hanno parlato al telefono ma, precisano, solo della elezione di Molteni. La pubblicità al canale di comunicazione M5S-Lega è dunque tornata alla vigilia del nuovo giro di consultazioni. Salvini e Di Maio hanno anche tentato di interpretare le mosse di Sergio Mattarella: «Non penso che il presidente della Repubblica conferirà incarichi a caso... Non chiederei incarichi per non concludere nulla», ha detto il leader della Lega. Che ha aggiunto: «Pur rispettando l’autonomia del presidente della Repubblica non ho la maggioranza.Tra 10 o 15 giorni magari sarà diverso». E il capo politico del M5S, pur non mollando l’idea che dovrà essere lui il premier, non è stato da meno: «Voglio chiarire che non intendo fare un governo a tutti i costi, un governo per tirare a campare..». E annuncia: «Ho deciso di avviare un comitato scientifico sull’analisi dei programmi elettorali».

Così le consultazioni bis — il centrodestra stavolta va unito — si trascinano i paletti piantati dai partiti al Quirinale una settimana fa: «Il M5S non voterà mai la fiducia a un governo con Salvini e Berlusconi», conferma Di Maio. Il capo del M5S è anche «contento che con Martina e con Salvini si possa parlare». Però Salvini ribadisce «mai con il Pd» e guarda alle regionali in Molise e in Friuli: «Se Lega e centrodestra vincono vedrete che il governo arriverà in fretta e qualcuno abbassa la cresta». In ogni caso sarà necessario aspettare la fine del mese .


«Mi avete chiesto tempo e io ve l’ho dato. In questi ulteriori incontri al Quirinale è emersa con una certa forza la possibilità di un’intesa, da perfezionare comunque. Per cui agli attori più vicini a stringere un patto dico: serrate le file e chiudete, se ci riuscite. Aspetterò ancora qualche giorno per sentire se avrete novità».

Ecco la formula che Sergio Mattarella dovrebbe usare domani pomeriggio, tirando pubblicamente le somme del secondo giro di consultazioni. Dai segnali raccolti fino a ieri da diversi emissari, e che saranno messi a fuoco nei colloqui convocati nel suo studio nelle prossime 48 ore, un accordo tra Lega e Movimento 5 Stelle gli sembra quasi a un passo. Insomma, la fase di decantazione e i negoziati a distanza stanno producendo il risultato in cui il capo dello Stato confida e una maggioranza potrebbe nascere abbastanza in fretta.

Potrebbe. Purché si sciolgano un paio di incognite che dominano su tante altre. Anzitutto il caso Berlusconi, che per risolversi senza consumare una rottura (il parricidio che Matteo Salvini non vorrebbe compiere) e con una potenziale adesione di Luigi Di Maio, imporrebbe un passo indietro — o almeno laterale — dell’ex Cavaliere. Magari con lo schema dell’appoggio esterno, così da permettere a FI di non essere esclusa. E poi la questione premiership, con il leader grillino che continua a rivendicare per sé Palazzo Chigi, mentre il capo leghista questa primazia al momento non intende concedergliela. E qui la prova di forza potrebbe esser scongiurata con la cooptazione di una figura terza, nelle vesti di premier, concordata tra i due.

Sono nodi politici non da poco. Sul Colle sembrano però superabili, nonostante gli estremi tatticismi e qualche arroccamento pur di guadagnare qualche posizione. Tra le ipotesi che si considerano invece irreali, per come le cose oggi sono messe, c’è quella di un accordo organico tra 5 Stelle e Pd. Per indisponibilità dei democratici, naturalmente, che non riescono a optare per una scelta differente dal diktat aventiniano lanciato da Matteo Renzi dopo la pesantissima sconfitta del 4 marzo.

A meno di clamorose novità dell’ultimo momento, con un simile scenario a Mattarella non resterà dunque che concedere un’ulteriore proroga. Breve. Passata la quale, se i partiti cosiddetti «vincitori» si arrenderanno certificando la loro inconcludenza, prenderà l’iniziativa direttamente. Escludendo l’incarico pieno e al momento pure un terzo consulto, ha due chance: 1) affidare un preincarico, che tuttavia né Di Maio né Salvini vogliono per il timore di bruciarsi; 2) dare un mandato esplorativo a una delle alte cariche dello Stato (che, data la loro appartenenza a FI e 5 Stelle, potrebbero agire da apripista per concludere un patto) oppure a un’altra figura di rilievo istituzionale.

Da stamane qualcosa di più chiaro si saprà. Comprese le posizioni delle forze politiche sui venti di guerra che spirano intorno alla Siria, cioè alle porte di casa nostra. Non va escluso infatti che il presidente, interrogando i propri interlocutori, li sondi pure su questo fronte che carica di ulteriori tensioni la partita. Vorrà avere, come del resto ha fatto già nel suo primo giro di colloqui, qualche ulteriore chiarimento sulle loro idee di politica estera e sulla posizione che l’Italia si troverà a dover assumere nell’eventualità di una chiamata in causa della Nato.

SALVINI

I leghisti ne parlano come di un «incarico di decantazione». Non si attendono che dalle consultazioni di oggi al Quirinale spunti il nome del prossimo presidente del Consiglio: «Non succederà» scommettono. Però, se dopo la seconda tornata di colloqui il capo dello Stato decidesse di affidare un incarico esplorativo a una personalità dal ruolo assolutamente istituzionale, come quello della presidente del Senato Elisabetta Casellati, con ogni probabilità i leghisti non si metterebbero di traverso. Perché l’idea della Lega è «di scollinare le Regionali». Prendere tempo. Tra i salviniani la convinzione è che in Friuli-Venezia Giulia la vittoria del loro candidato, Massimiliano Fedriga, sarà nettissima. Mentre quella dei 5 Stelle in Molise potrebbe essere meno nitida. Di questa convinzione si trova eco nelle parole di Matteo Salvini: «Chi vota in Molise come in Friuli, sappia che votando Lega può dare una mano ad accelerare la nascita del governo. Se la Lega e il centrodestra vinceranno, vedete che il governo arriva in fretta». Fino alla nota urticante: «Qualcuno abbassa la cresta e noi finalmente cominciamo a lavorare». Intanto il capo leghista si schiera con decisione contro il presidente Usa Donald Trump, a dispetto della recente visita all’ambasciata americana: «Non è normale che il presidente degli Stati Uniti, che pure stimo, twitti “arrivano i missili”, come se parlassimo di pollo arrosto e patatine».