la Repubblica, 12 aprile 2018
L’amaca
Sarò formalista, ma che un bombardamento venga annunciato dal presidente degli Stati Uniti con un tweet mi sembra davvero ripugnante. Le bombe erano bombe anche quando a precederle era il silenzio notturno, e ad annunciarle, pochi istanti prima del botto, e della morte tra i calcinacci, erano le sirene di allarme; anche quando le loro traiettorie e la loro destinazione erano un segreto degli Stati Maggiori, fogli chiusi a chiave nei cassetti dei generali. Ebbero modo, i nostri avi, di conoscerle, temerle, odiarle.
Ma senza che al lutto e alla paura si aggiungesse il garrulo messaggino di un vecchio incosciente – il presidente degli Stati Uniti! – che loda, delle sue bombe, “bellezza, novità e intelligenza” (nice, new and smart!), come un imbonitore che sa quello che dice, ma lo dice lo stesso.
L’orrore è congenito alla storia umana, ma la scemenza e la superficialità appaiono francamente in minaccioso aumento, e sono la classica beffa dopo il danno. Non si discutono, qui, le ragioni di alcuno, anche perché in Siria non sono ragioni facili da leggere. Si discute l’oltraggio di quelle poche righe quasi allegre, che rivendicano la guerra come igiene del mondo con una specie di estasi sub-futurista (ma Marinetti, di fronte a Trump, era un genio), un gongolante giochetto da vantare, sui social, in faccia al mondo. Un bambino di settant’anni, con il suo game a portata di smartphone.