Libero, 10 aprile 2018
Il dizionario di Oxford scritto da matti e assassini
Non sempre ma spesso, dalle menti in fiamme, come graziosamente i medici inglesi di metà Ottocento definivano i matti duri, sono nate imprese meravigliose. Quelle molto meravigliose, però, hanno bisogno di almeno due matti, o un matto e un semi matto intelligentissimo e malato di ossessione, un “divine”, come si diceva nei salotti vittoriani.
Ora, mandate a mente questi due nomi: James Augustus Henry Murray, filologo fai-da-te, e William Chester Minor, medico assassino. Due uomini con niente in comune tranne una cosa: l’Oxford English Dictionary. Cioè, considerando che si tratta solo della lingua inglese, una delle maggiori raccolte di parole, significati e tradizioni nella storia dell’umanità: oltre mezzo milione di lemmi, due milioni di citazioni e frasi esemplificative. Un’opera le cui pagine contengono 228 milioni di caratteri, spazi esclusi: mettendoli uno dietro l’altro si compone una fila lunga 286 chilometri.
Quanto a Murray e Minor, il primo è il mezzo matto di cui si diceva la necessità: nato nel 1837 a Havick, in Scozia, da una famiglia molto modesta, a 14 anni aveva lasciato la scuola, ma non l’intelligenza, né una patologica sete di sapere che coltivava da sé, al pari della sua barba rossa. A 15 anni parlava benino italiano, tedesco, francese, e greco, divorava ogni sorta di libro, botanica, geologia, osservava il cielo di notte e collezionava mappe, seppelliva di domande chiunque incontrasse, pensando che avrebbe potuto raccontagli qualche cosa da immagazzinare. E memorizzava frasi in qualsiasi lingua, dal romanì agli svariati dialetti scozzesi, vagava per le campagne cercando il modo di convincere le mucche a rispondere ai suoi richiami in latino.
SENZA DIPLOMA
A 17 anni era già assistente al direttore della scuola locale, sposò una donna malaticcia dalla quale ebbe una figlia che morì poco dopo. Per assistere la sua Maggie dovette trasferirsi con lei a Londra in cerca di un clima più salubre, e ad accettare vari lavori, bancario incluso: ma nei tragitti da e per casa studiava l’indostano e il persiano achemenide. Un anno dopo la dipartita di Maggie, per tisi, si risposò con Ada Ruthven, donna della middle class decisamente più colta della precedente, ed ebbe 11 figli, 9 dei quali si chiamarono di secondo nome Ruthven.
A trent’anni, le sue qualità e la mostruosa erudizione in filologia lo portarono a contatto del jet set culturale di Oxford e della prestigiosa Philological Society, uno dei bacini da cui, nel 1857, era nata l’idea del grande Dizionario. Murray diventerà il terzo direttore del progetto e l’anima più profonda. Senza avere alcun titolo di studio.
Quanto a Minor, era un americano. Un medico laureato a Yale, rampollo di una delle famiglie più antiche del New England, che aveva prestato servizio militare, sciaguratamente volontario, durante la Guerra Civile.
Credeva che avrebbe curato i feriti e invece finì a marchiare sulla faccia, come le bestie, gli irlandesi che disertavano. Ne uscì irrimediabilmente impazzito. Cercando di sfuggire ai suoi deliri si trasferì a Londra, dove, pur godendo di una rendita considerevole, andò ad abitare nel malfamato quartiere Lambeth Marsh perché era popolato da una quantità di prostitute, il suo passatempo-feticcio, e per un po’ condusse una vita à la Oliver Twist, però dandy.
OMICIDIO COLPOSO
Ma una notte del 1872, in un attacco di delirio persecutorio, scambiò un operaio che andava a lavorare per un ladro e lo uccise a colpi di pistola. Venne condannato al manicomio criminale di Broadmoor «fino a che Sua Maestà lo vorrà». Tuttavia, grazie ai buoni offici del suo status, ottenne di essere carcerato in una cella doppia, in solitudine, con tutti i suoi libri. Fra le pagine di uno di questi, dopo otto anni di isolamento, Minor trovò un volantino con il quale Murray aveva lanciato la richiesta di collaboratori per la redazione del Dizionario. In poco tempo divenne uno dei contributori più apprezzati, fino a diventare una presenza fissa, quanto misteriosa.
Di questa cosa a un certo punto Murray si accorse: gli era sembrato strano che un tipo simile non si fosse mai presentato in redazione. Quando, dalle affrancature, risalì all’indirizzo del manicomio, prese un treno, convinto fino all’ultimo che il suo collaboratore preferito fosse il direttore della casa di reclusione: «Mi rincresce, signore, ma non sono io», rispose egli a Murray, «il dottor Minor è il nostro detenuto di più antica data, è qui da vent’anni».
Il resto della storia, edita da Adelphi (Il professore e il pazzo, 262 pagine, 19 euro) e scritta magnificamente dal giornalista inglese Simon Winchester, ex inviato del Guardian, la dovete leggere, vi farete un favore e ne uscirete molto più che deliziati.