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 2018  aprile 11 Mercoledì calendario

Come battere il male oscuro con la medicina dei Big Data

Il corpo umano è il più complesso produttore di dati esistente: nulla di ciò che fino ad adesso la mente umana è riuscita a concepire può battere la mole e la complessità delle informazioni che se ne possono ricavare. Quotidianamente le persone generano una enorme quantità di Big Data che, se opportunamente monitorati, registrati e collezionati possono aprire nuovi orizzonti nel mondo della salute, sviluppando conoscenze che possono diventare un pilastro per prevenzione e cura. Un paziente nella sua vita genera Big data ogni volta che si sottopone a un esame diagnostico, accede al Pronto soccorso o a un laboratorio o usa un braccialetto per monitorare le proprie prestazioni sportive. Informazioni che valgono come una miniera d’oro nel campo della medicina: se i dottori potessero incrociare tutti questi dati avrebbero un quadro complessivo della salute della persona. Un micromondo che, una volta inserito nel macro, consentirebbe a politici, ospedali e cliniche di prevedere le spese mediche, prevenire le malattie e selezionare i servizi sanitari in base alle reali esigenze della popolazione in un dato territorio. Una linfa vitale estremamente utile in ambiti come l’oncologia. «Le casistiche disponibili, soprattutto nei tumori rari, sono ridotte e la disponibilità di database mondiale potrebbe avere ricadute fondamentali per diagnosi e terapie» sottolinea Andrea Ardizzoni, professore ordinario di Oncologia all’università di Bologna e direttore della divisione di Oncologia medica all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi.
L’INVECCHIAMENTO
Una sfida da cogliere al volo, visto che l’Italia è già oggi uno dei Paesi più anziani, ma lo sarà ancora di più nei prossimi anni: secondo l’Ocse, infatti, nel 2050 ci saranno 74 ultra-65enni ogni cento persone di età tra i 20 e i 64 anni. Oggi sono 38, nel 1980 erano 23. Il nostro Paese sarà così il terzo più anziano al mondo dopo Giappone e Spagna. Un passo nel futuro lo ha già compiuto Israele, dove si investiranno 233 milioni di euro in un progetto per rendere accessibili a ricercatori e società private i dati sullo stato di salute della popolazione. Un mercato, quello dei Big data nella sanità, che secondo il report di BIS Research, Global Big Data in Healthcare Market- Analysis and Forecast, 2017-2025, nel 2017 aveva un valore di 14,25 miliardi di dollari, ma si stima possa arrivare a 68,75 miliardi nel 2025.
I DEVICE
Un contributo in questo senso è dato dall’Internet of Things, grazie a dispositivi che raccolgono dati sui parametri di salute essenziali, li comunicano attraverso la Rete o li rendono disponibili tramite una app. Un ruolo fondamentale in questo ambito hanno le tecnologie indossabili alle quali appartengono sia gli strumenti professionali, sia i cosiddetti gadget come braccialetti, smartwatch e indumenti dotati di specifici sensori. Un settore in cui le major investono massicciamente, prevedendo anche il peso economico dei dati raccolti. La stessa Apple si è affidata al sensore KardiaBand per rilevare l’attività elettrica del cuore come un elettrocardiogramma (ECG), rivelare anomalie (anche le fibrillazioni atriali), i livelli di potassio nel sangue, per poi mandare queste informazioni a un’app. Accanto ai gadget troviamo gli strumenti professionali come i glucometri che, attraverso un sensore impiantabile che rimane per 14 giorni consecutivi nel braccio del paziente, monitorano la glicemia (Abbot). E ancora, gli inalatori per le malattie respiratorie che consentono di raccogliere dati su un’app e le lenti a contatto in grado di aiutare i pazienti diabetici a monitorare i propri livelli di glucosio partendo dal loro fluido lacrimale, per poi trasmetterli via wireless sul proprio smartphone o al server del proprio specialista (Novartis). In Norvegia, all’Ostfold Hospital Trust, Microsoft si è impegnata a creare un ospedale completamente digitalizzato, in cui ai pazienti vengono applicati dei sensori, anche di movimento, attraverso i quali si monitora il loro stato di salute, così da poter intervenire tempestivamente in caso di anomalie. IBM, con Watson, ha dato vita a un sistema intelligente (operante negli Usa allo Sloan-Kettering Cancer Center) che immagazzina milioni di dati, referti, immagini, esiti di esami di ogni genere relativi a un enorme numero di pazienti. Tutti dati che vengono messi a disposizione dei medici per rendere più rapide ed efficaci le diagnosi, dirigendosi sempre più verso un sistema di medicina predittiva. Google, invece, sta investendo su DeepMind per realizzare soluzioni di cognitive healthcare.
LA PRIVACY
In Italia, a muoversi in tal senso, è stato il Fascicolo sanitario elettronico che, tuttavia, fa fatica a decollare. «Nel settore dei database l’utilizzo è ancora limitato. Si lavora su dati aggregati, senza poter accedere ai singoli: serve una normativa più flessibile. C’è una legge sulla privacy molto stringente, dunque l’impiego dei database è molto limitato» sottolinea Ardizzoni. Una data revolution passa anche attraverso zone d’ombra nelle quali si naviga ancora a vista. Uno su tutti il problema della privacy dei pazienti, la possibilità di mantenere l’anonimato e la necessità di difendersi dagli attacchi degli hacker che guardano al mondo dei big data nella sanità come a un vero e proprio tesoro. «Conoscere dati estremamente sensibili, come alterazioni genetiche del paziente che possono portare a certe malattie, potrebbe portare a ricadute negative, come ad esempio in Usa nel settore delle assicurazioni – conclude Ardizzoni – Diverse sono le informazioni sulla malattia e su come il paziente ha reagito a una terapia: conoscere questi aspetti avrebbe ricadute positive sia per la medicina sia per la società».