Il Messaggero, 11 aprile 2018
La conquista dell’immenso con l’infinitamente piccolo
Per andare verso l’infinitamente grande (lo spazio) bisogna prima inventare l’infinitamente piccolo: ridurre le dimensioni (e i consumi) di motori, batterie, computer, strumenti per la salute e l’orientamento e persino degli ambienti di coltivazione dei vegetali. Un processo virtuoso che, in attesa di tornare sulla Luna e di mettere il primo piede su Marte, rende già adesso più facile e sicura la nostra vita di tutti i giorni sulla Terra, com’è accaduto in particolare grazie alla pioggia di innovazioni innescate dalla missione Apollo negli anni Sessanta.
Prendiamo le comunicazioni via radiofrequenze che avvolgono tutta la nostra vita con dati (informazioni) che vanno e vengono fra la Terra e lo spazio (i satelliti, senza i quali saremmo ciechi): 50 anni dopo l’epopea delle navicelle Apollo, la facilità di maneggiare la luce con macchine di dimensioni e consumi ridotti sta facendo progredire a livelli stupefacenti le trasmissioni fotoniche terra-terra e terra-spazio. Enormi quantità di dati trasmessi a ultravelocità senza limiti di distanze e per di più difficilmente intercettabili. Un settore in cui l’Italia, 120 anni dopo le intuizioni geniali di Guglielmo Marconi, è ancora in prima linea.
ORBITE BASSE
«Gli scenari che si delineano per la tecnologia spaziale del futuro racconta l’ingegnere Roberto Formaro, dirigente tecnologo dell’Agenzia spaziale italiana in cui è responsabile dell’Unità Tecnologie e Ingegneria nonché rappresentante presso Industrial Policy Committee dell’Agenzia spaziale europea sono relativi essenzialmente a 3 filoni: l’esplorazione dello spazio con o senza equipaggi umani, con la Luna e Marte ormai dietro l’angolo; l’utilizzo delle orbite basse attorno alla Terra (da 350 a 800 km di altezza); la capacità di recuperare risorse in situ, ovvero la possibilità di ricavare materie prime sfruttando quelle disponibili sugli altri pianeti, i loro satelliti, oppure addirittura sugli asteroidi». Filoni in cui il ruolo dell’Italia resta determinante.
«In tutti questi settori la tecnologia italiana è all’avanguardia, con l’Asi impegnata a svolgere funzioni di ricerca, progettazione, raccordo e coordinamento fra ministeri, università e aziende private. Funzioni a loro volta coordinate con l’Agenzia Spaziale Europea e spesso anche con altre agenzie internazionali come la Nasa e l’agenzia spaziale cinese. Da soli, nello spazio, non si va da nessuna parte».
È così che, a proposito di missioni dell’uomo nello spazio, sono made in Italy la metà dei moduli abitativi della stazione spaziale internazionale da dove è tornato di recente l’astronauta Paolo Nespoli. E poi c’è una massiccia presenza di tecnologia tricolore nel velivolo spaziale senza equipaggio IXV e nella sua evoluzione Space Rider, che garantirà all’Europa un balzo tecnologico di notevole portata per operare autonomamente nello spazio.
SEMICONDUTTORI
Servono allora anche motori sempre più piccoli, leggeri ed efficienti e qui il futuro prossimo punta su quelli elettrici ad alto rendimento. Inoltre l’elettronica spaziale sarà ancora più potente grazie all’uso del semiconduttore Nitruro di Gallio che soppianterà l’Arseniuro di Gallio usato fino ad oggi. «Rendere più affidabile, efficiente e al tempo stesso meno ingombrante tutta la componentistica di un velivolo spaziale dice ancora Formaro pone sfide tanto difficili quanto affascinanti. Nello spazio dobbiamo pensare a proteggere sia le macchine sia l’uomo, perché tutt’ora non conosciamo del tutto gli effetti degli ambienti in cui inviamo sonde interplanetarie e quindi quelli che affrontano e soprattutto affronteranno gli astronauti».
Le radiazioni cosmiche, ad esempio. «Già, quelle influiscono su materiali e uomini. E intanto, mentre ne studiamo effetti e contromisure, aiutiamo anche a individuare nuove tecnologie subito applicabili alla Medicina sulla Terra». Ne dovranno tenere conto anche i primi turisti che Branson, Musk e Bezos vogliono presto lanciare nelle orbite basse? «Per adesso si immaginano voli toccata e fuga suborbitali a quote intorno ai 100 chilometri. Questione di pochi anni e questi primi turisti partiranno davvero, con la possibilità di uno spazioporto anche in Italia (forse in Puglia, ndr). Nel termine più lungo anche i voli intercontinentali ultrarapidi potranno sfruttare traiettorie suborbitali.
Sopra queste quote orbita la crescente popolazione dei satelliti. «Sì, e anche per questo settore costruire strumenti sempre più piccoli e leggeri sarà determinante. L’Asi lancerà con il razzo Vega (made in Italy al 70%) il satellite Prisma che grazie alla tecnologia del Remote Sensing Iperspettrale farà compiere un enorme passo in avanti all’osservazione della Terra, fase indispensabile per proteggerla: i dati ricavati da Prisma individueranno anche la composizione chimico-fisica degli elementi ripresi: non si può più parlare di cambiamenti geoclimatici, di prevenzione o di interventi post emergenze senza i dati raccolti dai satelliti. Poi, sempre in casa Asi, si sta realizzando la piattaforma satellitare Platino per satelliti leggeri della Classe 200 chilogrammi e che permetterà innumerevoli applicazioni a costi assai ridotti, come richiede sempre più il mercato».
MATERIE PRIME
Andare a caccia di materie prime nello spazio non sembra così facile. «Non lo è oggi, ma sarà indispensabile per sostenere le prossime missioni dal momento che non è vantaggioso trasportare tutte le risorse dalla Terra. Già da anni i rover prelevano e analizzano campioni di materiali dal suolo lunare o marziano e, dal 2014, anche dalla cometa 67P grazie alla missione Rosetta dell’Esa. Il trapano del lander Philae, atterrato sulla cometa, è italiano come lo è quello del rover della missione Exomars, ancora di ESA, che fra due anni ci permetterà di esaminare il sottosuolo marziano a profondità mai raggiunte prima, alla ricerca di tracce di metano, di acqua, di vita. Anche senza dover scendere al suolo, poi, entro il 2030 avremo notizie degli oceani ghiacciati delle lune di Giove: a scandagliarli, fino a 9 chilometri sotto la loro superficie, sarà il nostro Radar Sounder di cui sarà dotata la sonda Juice».