Il Messaggero, 11 aprile 2018
«Si ai geni modificati ma valutate i rischi». Intervista a David Baltimore
L’antico sogno d’intervenire sul patrimonio genetico degli esseri umani, manipolando a piacere il Dna, non è mai stato reale come ora. Il merito è di una tecnica rivoluzionaria chiamata Crispr: molto più semplice e precisa delle precedenti, serve a correggere, cancellare o inserire uno o più geni nelle cellule degli esseri viventi, a scopo di cura o di chirurgia cosmetica. Simile a un vero e proprio taglia e cuci.
Scoperta autonomamente cinque anni fa da due ricercatori, la genetista Jennifer Doudna dell’Università di Berkeley e il biochimico Feng Zhang del Mit (Massachusetts Institute of Technology), questa tecnica è stata già applicata con risultati clamorosi, dando però il via a un dibattito sui limiti etici da imporre prima che diventi uno strumento per modificare la nostra trasmissione ereditaria, cambiando per sempre le generazioni a venire.
Un’equipe medica di Oakland, California, è riuscita ad aggiustare il gene che causava la sindrome di Hunter in un malato. A Chengdu, in Cina, hanno adoperato lo scalpello Crispr per trattare un paziente di cancro. (In Cina sono già 86 i pazienti con i geni modificati attraverso questa tecnica). Altri studi indagano come rimuovere alcune cellule di persone affette da HIV, per cancellare il gene che favorisce il progredire della malattia, e poi reinserire le cellule guarite.
Questi approcci sono accolti con entusiasmo, perché l’effetto è limitato alle cellule di un singolo corpo e che moriranno con questo. A spaventare sono gli interventi sugli embrioni, perché così il patrimonio genetico alterato, verrebbe poi trasmesso dal futuro adulto ai propri figli. Così come l’editing genetico allo scopo di perfezionamenti non medici, ma per alterare altezza, colore o intelligenza: il fantasma dell’eugenetica.
Per dare il tempo alla società di valutare i rischi, due anni fa i più grandi esperti si sono incontrati a Washington per mettere le basi di una moratoria globale. A guidarli era un biologo premio Nobel (vinto nel 1975 con Renato Dulbecco), l’ottantenne americano David Baltimore. Lo abbiamo intervistato su speranze e timori della tecnica Crispr.
Qual è stata la sua reazione alle prime notizie su Crispr?
«Mi è subito sembrata una grande rivoluzione: non tanto per l’idea in sé, già nota, ma per la semplicità con cui si poteva fare ciò che prima era invece molto complesso. In poco tempo è diventato un primario oggetto di ricerca nei laboratori di tutto il mondo, e le procedure si sono moltiplicate».
Quali sono i rischi derivanti da un intervento sul nostro genoma?
«Vogliamo avere il controllo sulla progettazione biologica, riscrivere il software del Dna? Sarebbe fantastico riuscire a eliminare i geni dannosi, ma se l’obiettivo è ottenere bambini più alti o veloci? Dovremmo fermarci, ma non è una decisione semplice. Quando riesci a fare una cosa per scopi scientifici, non è lontano il momento in cui la fai anche per ragioni cosmetiche. Questo non può avvenire senza il nostro consenso globale».
Che cosa fare?
«Occorre conoscere l’opinione della società. Il problema è che non esistono meccanismi per scelte di questo tipo e funzionanti a livello internazionale. È tipico invece che una nazione permetta ciò che un’altra vieti, e così, per chi ne ha i mezzi, basta andare all’estero e trovare ciò che vuole. Su una cosa così importante occorre trovare un consenso globale, un po’ come con il nucleare. Per questo stiamo cercando di organizzare più incontri internazionali possibili. Il prossimo si terrà a Hong Kong in autunno. È l’Asia il continente più avanzato nelle ricerche: e finora rispetta le norme etiche internazionali. Gli Stati Uniti per ora sono costretti a inseguire la Cina».
Quale potrebbe essere il primo utilizzo di Crispr non su un singolo, ma per debellare una malattia?
«Stanno studiando come eliminare i geni alla base della malattia di Huntington. Per molte famiglie sarebbe un sollievo incredibile, ma non siamo ancora così vicini come invece altri sostengono».
Quali sono i rischi che Crispr possa essere usata per interventi non medici, ma per l’aumento della massa muscolare, o il confezionamento di bambini perfetti?
«Non sappiamo ancora come fare, ma tra pochi decenni ci arriveremo, e allora sarà meglio avere già in mente cosa vogliamo permettere e cosa no».
Sono sempre più numerose le sperimentazioni Crispr fai da te. C’è chi ha provato a combattere l’herpes, e chi, in diretta internet, si è iniettato nel braccio il segmento di codice che dovrebbe in teoria, accrescere la massa muscolare... La tecnica potrà sfuggire di mano?
«Sì, ma non è il vero problema. Finché non si modifica l’eredità che passa alla generazione successiva, il fai da te è pericoloso soltanto per chi lo prova».
Se guarda in avanti, qual è l’interrogativo più importante che ci riguardi?
«Credo che sia come si arriverà alla prossima generazione. Fino a oggi abbiamo avuto i figli grazie all’incontro casuale di geni di madri e padri, così i figli hanno mostrato comportamenti, caratteri e capacità diverse. È il mondo che conosciamo, e da sempre. Proveremo a modificarlo, così da favorire il gene che ci piace e liberandoci da quelli cattivi? Ci stiamo arrivando. Il problema diventa come mantenere la diversità del mondo così com’è stata fino a ora, e dove ognuno, con la propria particolarità, l’altezza piuttosto la bravura in matematica, ha contribuito alla ricchezza della società. Le differenze sono fondamentali, non possiamo perderle. E ce la faremo, anche perché, almeno una cosa, non la vorremo perdere».
Quale?
«Il sesso».