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 2018  aprile 11 Mercoledì calendario

Tra le lacrime dell’elefante e l’audacia dell’orca. Intervista al biologo marino e scrittore Carl Safina

«Il punto qui è: con chi abbiamo a che fare? Quali tipi di menti popolano questo mondo? Studio il comportamento animale da una vita e da tempo avevo concluso che molti animali sociali sono fondamentalmente simili a noi. Cercavo in loro la misura della nostra somiglianza. Adesso il mio compito è cercare di capire chi sono gli animali».
Carl Safina, biologo marino e scrittore americano, fondatore del Blue Ocean Institute alla Stony Brook University, ha passato una vita tra gli animali. Ne ha concluso che il filosofo Porfirio si sbagliava, che l’uomo non è la misura di tutte le cose e che capire veramente «che cosa provano e che cosa pensano» gli animali è possibile solo lasciandosi alle spalle i tabù e le cautele eccessive che spesso, ancora oggi, circondano lo studio del comportamento animale. Lo spiega nel suo libro «Al di là delle parole», che inaugura la collana «Animalia» di Adelphi.
Professore, perché c’è ancora ritrosia nell’attribuire agli animali una complessa vita emotiva e mentale?
«Qualsiasi idea o attitudine andrebbe rivisitata di frequente, perché la nostra comprensione cambia e, in genere, migliora. Molti aspetti delle capacità animali, anche quelle emotive e mentali, variano con continuità tra le specie. La continuità evolutiva fa sì che, per esempio, l’empatia umana abbia molto in comune con quella degli scimpanzé. Ma la prima ha una maggiore capacità, chiamata compassione, di tradurre l’emozione in azione. Ed è limitata: ci interessano meno le altre persone, le altre etnie, le altre culture. A molti, poi, non importa troppo degli animali che uccidono per mangiarli. E gli umani, a volte, usano l’empatia e la comprensione che gli altri possono soffrire per infliggere dolore e torture».
C’è chi condanna un uso disinvolto di termini intenzionali, come «vuole», «crede» e «intende», riferiti agli animali. Teme l’accusa di antropomorfismo?
«La mia paura è semmai quella di sbagliarmi. Se non attribuisco il corretto stato mentale all’animale, dicendo che “è come se” fosse depresso, quando lo è davvero, commetto un errore che può prolungarne la sofferenza. La continuità evolutiva, la somiglianza dei sistemi nervosi e dei comportamenti ci consentono di fare valutazioni informate sugli stati mentali di altre specie. Quando gli animali mangiano e bevono, riconosciamo la fame e la sete. Quando gli elefanti sembrano gioiosi in contesti gioiosi, l’interpretazione più semplice è che sia gioia. Altrimenti siamo vittime di un pregiudizio».
Non tutti i suoi colleghi scienziati sarebbero d’accordo.
«I più cauti sono quelli che fanno esperimenti in laboratorio, spesso non adatti a indagare le capacità animali: la loro attitudine è affinare termini e concetti fino a quando, però, si perde il quadro generale. Non sono neppure molto ben informati su come le varie specie si comportano in natura, nei loro habitat e nelle loro società».
Possiamo davvero capire cosa vuol dire per un animale pensare o provare un’emozione?
«Possiamo provarci. Ma non possiamo leggere le loro menti più di quanto possiamo leggere le nostre. Infatti, per indovinare ciò che ora lei sta pensando e sentendo, posso solo usare le mie conoscenze. Ma, quando vedi gli animali giocare, scappare dal pericolo o difendere i loro piccoli, questi sono stati motivazionali basilari e non è ragionevole pensare che siano così diversi dai nostri. Tra l’altro, le evidenze basate sul funzionamento del cervello delle altre specie sono sempre più numerose».
Elefanti che piangono i loro defunti e orche che sostengono un piccolo ferito: gli episodi toccanti sono prove del possesso di certe facoltà mentali o semplici aneddoti?
«Quando uno scienziato, che ha passato 40 anni a osservare gli elefanti, ti dice cosa pensa stiano facendo in un dato momento, la sua è l’opinione di un esperto e quindi informata. Ho molto rispetto per la potenza del metodo scientifico, ma molte idee possono nascere al di fuori degli esperimenti controllati: da scienziato ne conosco i limiti e so che altri tipi di osservazioni possono migliorare la comprensione degli animali. Sono modi diversi di osservare e interpretare».
È così sicuro che comprendere gli animali aiuterà a far cessare le crudeltà nei loro confronti?
«Certo. Imparando ad essere più compassionevoli verso gli animali non umani, inoltre, diventeremo persone più gentili e migliori anche nei rapporti con i nostri simili».