La Stampa, 11 aprile 2018
Tra acquisti e fatture il business della malasanità
Ruberie e raggiri imperversano in una Asl su quattro e fanno gettare al vento 6,4 miliardi di euro l’anno. È il livello raggiunto dal malaffare nella nostra sanità rilevato dall’indagine “Curiamo la corruzione” (2017) di Transparency, insieme a Censis, Ispe sanità e Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità.
Nel 25,7% delle 136 aziende sanitarie interpellate sulle circa 200 si sarebbe verificato almeno un episodio di corruzione. Percentuale che sale a oltre il 37% se si considera l’arco un quinquennio.
In oltre l’82% dei casi il fenomeno ha riguardato l’acquisto di beni e servizi, il 66% la realizzazione di opere e il 31,3% le assunzioni clientelari.
Tra le Asl più esposte a fenomeni corruttivi: quelle di Asti, Piacenza, Mantova e la 6 di Vicenza al Nord, il Careggi di Firenze e la Asl di Viterbo al Centro, il Policlinico di Palermo, e le aziende sanitarie di Agrigento e Carbonia al Sud, dove si trova quasi la metà delle Asl considerate a più alto rischio nel Paese. Il costo dei vari raggiri è stato stimato tenendo conto di tutti i danni accertati dalla magistratura ordinaria e contabile. Poi ci sono gli sperperi dietro le spese «altamente ingiustificate». Come la Asl campana che per la pulizia spende 40 euro ad assistito quando nella stessa regione c’è chi se la cava con cinque.
Gli stratagemmi sono i più svariati. «Uno dei più utilizzati – spiega il Presidente dell’Ispe, Francesco Macchia- è quello di sovrafatturare i servizi di mensa, lavanderia, riscaldamento e gli acquisiti di beni non sanitari in genere. Compro 100 camici e ne fatturo il doppio. O si acquista molto più di quel che occorre. E magari si getta il cibo avanzato nella spazzatura».
Poi ci sono i macchinari offerti in comodato d’uso gratuito dai fornitori. Soldi risparmiati? No: spesso sono dispositivi con pezzi soggetti rapidamente ad usura. E quelli la Asl li acquista dal “generoso” fornitore, che sbaraglia la concorrenza. Magari dopo aver elargito mazzette. Meno raffinata è la pratica di acquistare senza gara dispositivi medici che non servono proprio, come documenta in un librone degli sprechi il Tribunale dei diritti del malato.
Nell’elenco dell’Ispe figurano invece gli accordi preventivi con le ditte partecipanti a gara». In pratica –spiega Macchia – chi deve indire il bando si accorda con il fornitore nel definire l’identikit del prodotto da acquistare, che guarda caso combacia con quello commercializzato dalla ditta in combutta». Anche questo alla faccia della concorrenza.
Poi c’è quella che tecnicamente si chiama «esclusività di un bene di servizio». Tradotto: «Il medico si appella all’infungibilità, ossia alla non sostituibilità di quel dispositivo sanitario con altri simili in modo da aggirare l’obbligo delle gara d’acquisto». Infine la nomina di soggetti «non imparziali» nelle commissioni d’acquisto. Quei conflitti d’interesse che inquinano la sanità. E non solo.