Corriere della Sera, 11 aprile 2018
Il mestiere impossibile
La storia dei minorenni di Sulmona, che avevano trasmesso con i telefonini le foto di una loro compagna nuda, è finita ieri con la condanna dei genitori a versare centomila euro alla ragazza, a titolo di risarcimento. Fin qui niente da dire. Ma sulle motivazioni della sentenza si potrebbe aprire un romanzo impopolare. Il giudice non si limita ad applicare la classica responsabilità oggettiva: il ragazzino ha sbagliato, gli unici che possono aprire il portafogli sono i suoi genitori. No, si inoltra nella foresta della pedagogia sociale, rivelando una mancanza di senso della realtà o, più banalmente, di figli adolescenti. L’accusa che rivolge, nero su bianco, ai padri e alle madri è di non avere insegnato l’educazione alle loro creature.
Certo, in un mondo ideale i genitori educano e i figli imparano. Ma in quello reale, che ha svalutato ogni forma di autorità, sostituendola con il potere ipnotico e trasversale della Rete, spedire un figlio a letto senza cena non è più una punizione, ma un’istigazione a chiudersi a chiave e accendere il cellulare o l’iPad. Glielo si può requisire, passando per cerberi antiquati. O glielo si può controllare, trasformandolo in un martire della privacy violata e della fiducia negata. Ma forse genitori e figli andrebbero educati insieme all’uso degli smartphone da chi continua a produrli senza veri filtri, infischiandosene dei danni provocati negli adolescenti da una clava elettronica ormai sfuggita a ogni controllo.