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 2018  aprile 11 Mercoledì calendario

In morte di Sauro Tomà, l’ultimo superstite del Grande Torino

Adesso sì che sono di nuovo tutti assieme, gli eroi del Grande Torino. Anche Sauro Tomà, a 92 anni, ha raggiunto i suoi compagni, e ora capitan Valentino può distribuire le maglie, come faceva quando si giocava al Filadelfia, e la partita può riprendere da dove si era fermata, da quel terribile schianto dell’aereo contro il terrapieno della Basilica di Superga, alle ore 17.03 del 4 maggio 1949. La storia ricomincia, non si corre più sul prato ma in mezzo alle nuvole, però anche da lassù si sente il boato d’ammirazione della gente che ha amato, e ama, quella squadra di un amore immenso, persino impossibile. Tomà non era su quell’aereo che tornava da Lisbona. Aveva il ginocchio destro malandato, il medico non gli aveva dato il permesso di partecipare alla trasferta. Gli toccò il compito di vedere da vicino il disastro, i trentuno corpi maciullati: camminava stranito tra i rottami del velivolo, si voltava ora a destra e ora a sinistra, e sempre incontrava un volto amico, ecco Maroso, questo è Bacigalupo, qui ci sono i documenti di Grezar, e questo è Valentino, Valentino Mazzola, il mio grande capitano... Vicino a Tomà, quella sera, sulla collina di Superga, c’era Vittorio Pozzo che considerava quei ragazzi come fossero tutti suoi figli e volle essere lui a riconoscerli ufficialmente nella fredda stanza dell’obitorio. Tomà lo accompagnò, ma rimase un passo indietro: il dolore gli paralizzò le gambe.
TRATTATIVA Al Torino lo aveva voluto il presidente Ferruccio Novo che era rimasto colpito dalla grinta di quel terzino. Lo acquistò dallo Spezia, però si accorse ben presto che l’affare gli sarebbe costato un po’ troppo. In pratica, per avere Tomà, Novo avrebbe dovuto girare ben cinque giocatori allo Spezia. Il presidente si pentì e all’ultimo momento cercò di far saltare la trattativa: fece in modo che dalle visite mediche risultasse che Tomà aveva un problema polmonare. Sauro, che sapeva di essere sanissimo, non si arrese, si fece visitare da un luminare che certificò la sua abilità e ottenne che il trasferimento al Torino fosse confermato. Novo gli presentò le sue scuse, come si faceva tra gentiluomini, e lo accolse nella grande famiglia granata. Era il 1947. Nei piani di presidente e allenatore Tomà sarebbe stato una riserva, l’uomo che avrebbe dovuto sostituire Virgilio Maroso. Durante la tournée in Brasile, dimostrò che ci poteva stare in mezzo a quei fenomeni. Tanto più che in quel periodo era entrato in confidenza con capitan Valentino, alle prese con una difficile situazione familiare: stava divorziando dalla prima moglie, aveva due bambini piccoli, l’opinione pubblica non gli perdonava un comportamento che, per quei tempi, era considerato immorale. E Sauro lo consolava. 
DOLORE Poi venne la tragedia e Tomà si ritrovò, d’improvviso, senza famiglia. «Per me erano tutti fratelli» confesserà anni dopo. Scappò da Torino perché si sentiva addosso gli occhi dei curiosi e gli pareva che lo accusassero di essere sopravvissuto. Andò a curarsi il ginocchio malandato, si rimise in piedi, provò a tornare in campo, ma scoprì ben presto che a fermarlo non era il dolore alla gamba bensì quello che aveva dentro il cuore. Si salvò dal disastro, è vero, dichiarò di essere stato «fortunato», ma quale fortuna può essere quella di essere condannato a un’esistenza da sopravvissuto? E adesso che tutto si è concluso, finalmente, potrà abbracciare di nuovo i suoi compagni e chiedere loro perdono per non esserci stato nel momento più difficile.