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 2018  aprile 10 Martedì calendario

Maria Callas e la felicità negata

Cosa può dire un trentenne contemporaneo su un controverso personaggio morto quarant’anni fa, quindi mai incontrato e neppure ricordato e rimpianto, non essendo lui un melomane come ce ne sono tanti, che ancora oggi raccolgono e inseguono i reperti, gli echi, le vestigia del loro lontano mito incancellabile?
È stata per Tom Volf, giovane regista francoamericano, una scoperta casuale, un innamoramento improvviso, che lo ha costretto a farsi trascinare tra le tante Maria Callas usurate dal tempo, testimoniate o inventate da video, registrazioni, lettere, saggi, archivi, mostre, cronache, pettegolezzi, suggestioni, oblio, per rintracciarne quella che il tempo poteva aver reso autentica, meno falsata dal suo presente. La memoria è quella di una signora molto legata alla sua epoca, una star assoluta di quegli anni incerti, moralisti, eppure appassionati, una grande diva di impareggiabile talento, una star della mondanità, quella voce, quella presenza scenica creatrice di emozioni indimenticabili, il risultato di fatiche, rinunce, a cui però nulla sarebbe stato perdonato: e che, come le sue tante eroine che sul palcoscenico erano destinate, per il piacere di un pubblico lacrimante, a morire, si sarebbe spenta in solitudine, punita per la sua grandezza e la sua vita, nella casa parigina, il 16 settembre 1977, a 53 anni.
Questo Maria by Callas (dal 16 al 18 aprile nelle sale) è un documentario di quasi due ore, così puntigliosamente ricco (tre anni di ricerca) di documentazione anche inedita, così appassionatamente raccontato, da trasformarsi in un grande film-racconto: protagonisti una voce meravigliosa, una donna capace di essere sempre bella senza esserlo mai, perfezionista accanita nella sua arte, donna impigliata nella condizione femminile d’epoca che non poteva destinarla alla felicità.
Scorrono con la sua vita breve i più bei teatri del mondo, le più belle opere liriche, un indispensabile marito, mediocre, forse sfruttatore e poi vendicativo, uno o due amanti celebri, Onassis, Di Stefano, un amore non ricambiato, Pasolini, come comparse il presidente Gronchi, la bella e giovane regina Elisabetta con la regina madre, Anna Magnani, Brigitte Bardot, Luchino Visconti e altre celebrità dagli anni 50 ai 70.
Al trentenne che aggiorna la diva funesta e funestata del secolo scorso, non interessano momenti della sua vita che invece allora incuriosivano le folle e incattivivano i cronisti: non il suo miracoloso dimagrimento di 35 chili ma il suo corpo già sottile e agile, quel vitino, nei veli di Norma, davvero eccezionale anche oggi, quei gesti agili nelle opere e solenni nella vita. C’è invece a trasformarla l’innamoramento: la signora Meneghini, gran dama vestita da Biki coi capelli stretti nello chignon e in strada mai senza cappello, talvolta con veletta, dopo l’incontro con Onassis si taglia i capelli che le ondeggiano attorno al viso ridente, scopre quando è sullo yacht del suo nuovo uomo quanto le stiano bene i pantaloncini corti a vivaci colori: è diventata la ragazza che non è mai stata, neppure da adolescente, quando la madre la incarcerava nel canto.
Si fa un’altra scoperta, il tempo cambia i punti di vista: allora Onassis era un greco ricchissimo giudicato molto brutto, il che rendeva tanto la Callas quanto la Kennedy delle furbacchione deludenti: invece oggi quel bruttone imperioso potrebbe apparirci affascinante, sapiente d’amore crudele, e si prova una certa soddisfazione nel vederlo ritornare da Maria, sempre più carica di pellicce, cincillà, zibellino, ermellino, e luminosa di felicità. “Casta diva” della Norma, “Addio al passato” della Traviata, “L’amour est un oiseau rebelle” della Carmen, “Voi lo sapete o mamma” della
Cavalleria Rusticana, “Vissi d’arte vissi d’amore” della Tosca, Bellini, Giordano, Puccini, Bizet, Mascagni, Verdi. La si vede sul palcoscenico e soprattutto nei concerti; come se Volf volesse ricordare il suo genio e la sua bellezza anche negli anni considerati allora bui per lei, dentro abiti lunghi e aderenti, bianchi, o rossi o neri, e sempre sciarpe sulle spalle e gioielli, quando si diceva che non riuscisse più a sostenere un’opera intera, e del resto non la volevano più né la Scala né il Met. E qui vediamo una formidabile Callas che in una conferenza stampa spiega con una calma che si trasforma in rabbia, saettando vendette con i grandi occhi neri, la sua versione: che oggi appare più credibile di quella ufficiale di allora. La vediamo assalita da mura di fotografi, la sentiamo parlare ovunque a montagne di cronisti, in lunghe interviste televisive, in ottimo inglese, italiano, francese, con calma e intelligenza, ironia e profondità, e forse verità. Il pubblico delle prime, signore lussuose con diademi e strascichi, uomini in frac, e poi i giovani spettatori impazziti a urlare in lacrime la loro passione, e fuori dai teatri le code di giorni in strada, sotto le coperte. Poi lei ai bordi della piscina di una villa di Palm Beach nel 1976, sola con l’immancabile cagnolino, le prime immagini di una Callas invecchiata: la sua voce canta “Così fui sola e attorno il nulla!”.
Poi dallo schermo vuoto, parole ricordate da Fanny Ardant: «Non provo altro che gratitudine per il mondo: è tutto».