la Repubblica, 10 aprile 2018
Lino, Giuseppe e gli altri, il rientro degli italiani caduti in Russia
MOSCA Ogni mese Giuseppe Muselli mandava una lettera dal fronte russo al fratello maggiore Emilio. Era il secondo di cinque figli nati e cresciuti a San Bassano, paesino di duemila anime in provincia di Cremona. L’unico ad aver cercato fortuna a Milano come operaio e ad essersi poi arruolato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale quando tutta la famiglia lavorava i campi. Nelle sue ultime missive, ricorda il nipote Gianni Ungari, parlava di un grande senso di delusione e di un principio di congelamento. Poi, dal dicembre 1942, più nulla. Fino a un mese fa quando i carabinieri hanno bussato alla porta dell’unica sorella rimasta in vita, Emma, oggi novantenne. I suoi resti sono stati rinvenuti a Krasnogorovka, nella regione di Donetsk, oggi Ucraina. Sono gli unici, insieme a quelli di Lino Omezzoli, originario di Riva del Garda, del 79° Reggimento di Fanteria “Roma”, disperso a Derezovka, nella regione di Voronezh, a essere stati ritrovati con ancora addosso la piastrina di riconoscimento su cento resti recuperati in Russia che ora si trovano in un hangar di Mosca in attesa del rimpatrio e della sepoltura nel tempio di Cargnacco. Cento sui circa 100mila soldati italiani che tra il 1942 e il 1943 partirono per la Campagna di Russia e non fecero più ritorno.
A ridare pace ai caduti dispersi e conforto ai familiari lavorano le due associazioni di riferimento dell’accordo fra Roma e Mosca sulle sepolture di guerra: Memoriali militari in Russia e Onorcaduti in Italia. «L’anno scorso abbiamo ricevuto 159 richieste di informazioni e un centinaio di persone hanno appreso il destino dei loro cari.
Metà erano morti in prigionia, metà in combattimento». Gli occhi chiari di Vassilij Tolochko, vicedirettore di Memoriali Militari, 71 anni, da 27 impegnato nella ricerca dei dispersi in Russia, brillano. Non cede alla commozione. «Non dobbiamo svegliare le emozioni, per chi fa questo lavoro è meglio che dormano». Le piastrine rinvenute, in tutto 12, sono custodite in una piccola scatola rettangolare gialla e marrone.
Minuti frammenti di metallo assottigliati e incrostati dal tempo, sigillati uno ad uno in bustine di plastica che riportano con un pennarello nero l’anno e il luogo del ritrovamento. Vassilij le maneggia con cura. La riconsegna per i familiari potrebbe essere l’unica parvenza di funerale oltre 75 anni dopo aver perso notizie dei cari.
L’associazione setaccia gli archivi dell’Nkvd, antenato del Kgb, scava i luoghi delle battaglie dell’epoca e della ritirata alla ricerca di resti e suppellettili che permettano di ricostruirne le storie. Sulle pareti della sede della sede nel quartiere meridionale Nagatino, vi sono foto dei monumenti eretti in varie regioni russe. «A volte la parte più difficile è convincere gli abitanti a erigere un monumento ai caduti “nemici”. Per noi non ci sono né eroi, né carnefici. Ci sono gli uomini. Che furono tutti vittima della guerra». Serghej Piljaev che lo scorso gennaio ha preso il posto del padre Evgenij come direttore generale dell’associazione mostra le foto degli scavi: campi di papavero che 75 anni fa erano oceani di neve per soldati andati a combattere con scarpe di cartone. “Davaj”, “Avanti”, gridavano i soldati sovietici ai prigionieri che marciavano nella steppa gelida. Non tutti resistevano. Le stanze di Memoriali Italiani sono piene di faldoni. Contengono i dati degli oltre 3mila italiani identificati.
«Quando i familiari ricevono in mano questo documento piangono», spiega Vassilij. «Il nostro lavoro si ferma qui.
Restituire corpi e piastrine alle famiglie è compito dello Stato italiano». È qui che interviene Onorcaduti, organo del ministero della Difesa. Partecipa agli scavi, cercando ogni cosa che possa identificare un morto: mostrine, scarponi, documenti.
Compone le ossa nelle cassette di zinco che poi vengono rimpatriate, ci spiega da Roma il generale Alessandro Veltri, a capo del Commissariato generale per le onoranze ai caduti. «È un lavoro che richiede pazienza e tanta accortezza. La maggior parte dei caduti sono ignoti e riposano nel sacrario di Cargnacco. L’importante è rispettare la memoria di chi ha perso la vita per la patria. Tra le vittime di guerra non ci sono nemici, solo caduti».
(Ha collaborato Tiziana De Giorgio)