La Stampa, 7 aprile 2018
Davide Serra critica l’intervento dello Stato: Elliott è uno speculatore non salverà Telecom
«Il caso Telecom è ridicolo. Era una grande azienda e l’hanno riempita di debiti. Tra consulenti e banche ci hanno mangiato in tanti». Davide Serra, ad del fondo Algebris, al Forum Ambrosetti a Cernobbio, trova Telecom un esempio di malagestione italiana.
Lo Stato tramite Cassa depositi e prestiti fa bene a intervenire?
«Lo Stato dovrebbe occuparsi solo delle regole».
Lo scorporo e la nazionalizzazione della rete non sono nell’interesse nazionale?
«Potevano esserlo 20 anni fa. Perché si pensa solo ora alla fibra mentre sta arrivando la tecnologia 5G? È come preparare la carrozza a cavalli quando arriva il treno. Allora trovo molto più nevralgiche le autostrade. Perché quelle non si nazionalizzano?».
Già, perché?
«Perché nessun francese ha provato a comprarle, mentre Vincent Bolloré ha puntato Telecom e Mediaset, mancando di galateo perché Berlusconi in quel periodo era in ospedale».
Si trova meglio col fondo Elliott, altra voce in capitolo su Telecom?
«In Italia è passato per essere il salvatore della patria ostacolando i francesi di Vivendi, ma si tratta del fondo più aggressivo, speculatore e scorporatore che esista».
Preferisce Vivendi allora?
«Vivendi non è solo Bolloré, ma un’azienda da valutare bene. Il vero tema su Telecom è se sia meglio avere un progetto industriale complessivo o scorporare».
In generale, non trova che stiamo perdendo le grandi aziende?
«Gli investimenti esteri sono positivi. Il Jobs act ha aiutato e se abbassiamo le tasse pure. Dopo il governo Renzi c’è più lavoro, meno debito e più pil. Per questo lui non è finito: è l’unico che ha dato una scossa all’Italia e non ha l’età per smettere. Ora guardando alle volte che in passato hanno votato insieme in Parlamento l’allenza probabile è M5s-Lega: è il loro turno di essere responsabili ed è bene che il Pd, dopo essere stato tanto denigrato, stia all’opposizione».
Di Maio può fare il premier?
«Non ha una storia personale sufficiente».
Esiste un rischio di uscita dall’euro?
«Sarebbe un disastro. A Cernobbio chiesi a Salvini e Di Maio di spiegarmi cosa ci guadagnerebbe l’Italia: dissero che non è il momento e i mercati hanno capito che non c’è nessun progetto serio».
Ci sono degli interessi che spingono in quella direzione?
«Tutti i fondi internazionali che non hanno in portafoglio il debito italiano e sono pronti a speculare sul ritorno alla lira. Americani, ma non solo. Se gli italiani tengono il debito al 70 per cento come ora non ci sono problemi, se lo vendono come nel 2011 iniziano i guai. Allora furono banche e famiglie italiane a disfarsene, non la speculazione internazionale».
La sua passione restano le banche?
«Sì, ma devono digitalizzarsi e sono troppe. Purtroppo accorparle ha un costo sociale, ma è una medicina necessaria perché se le banche non rendono non possono dare credito alle aziende. Non dimentichiamo poi che l’Italia è il Paese della Popolare di Vicenza, costata 6 miliardi ai privati e 6 al pubblico».